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Schwazer: «Lottare costa, perciò gli altri atleti tacciono»

A La Verità: «Sperano non succederà mai a loro, preferiscono stare zitti prima di mettersi contro qualcuno. I controlli anti doping non sono sicuri, ancora oggi».

Schwazer: «Lottare costa, perciò gli altri atleti tacciono»
archivio Image / Sport / Alex Schwazer / foto Imago/Image

La Verità intervista Alex Schwazer. Racconta il suo rapporto con Sandro Donati, suo allenatore e complice nelle battaglie sostenute per l’accusa di doping.

«Gli inizi sono stati difficili. Per lui bastava un errore ed eri un dopato seriale. Pian piano, tra allenamenti e controlli continui, ci sono riuscito, a convincerlo. Finché a un certo punto ero io a dover frenare l’aspettativa che aveva su di me. La cosa più difficile del nostro rapporto è stata fargli capire che ero stato in un tunnel e che nel doping avevo intravisto forse una possibilità di via d’uscita, ma che non mi apparteneva. Con lui pensai anche di mollare, un paio di volte. Ero lontano da casa, e aveva dubbi giornalieri su di me».

Poi è nata una forte amicizia.

«Molto, sì. Sandro Donati ha una qualità più che rara nello sport: quando vede un’ingiustizia, la denuncia. E non gliene frega se non è poi ben visto dalla federazione o dal Coni. Sai com’è invece in Italia: finché sei amico, bene, ma se pesti i piedi a certe persone rischi che te la facciano pagare».

L’atleta sostiene che dietro le accuse mosse verso di lui ci sia un sistema che si vuole difendere.

«Un sistema, che si vuole difendere. Perché se avesse accettato che io sono una vittima, sarebbe stato chiaro che c’è un problema sui controlli. Che non sono sicuri, ancora oggi».

E spiega perché gli altri atleti non si schierano al suo fianco.

«Perché gli atleti sperano non succederà mai a loro, preferiscono stare zitti prima di mettersi contro qualcuno. Se si arrivasse fino a non gareggiare prima di aver ottenuto regole serie, qualcosa potrebbe cambiare».

Parla dei costi enormi della sua battaglia.

«Per i ricorsi a livello sportivo saremo sui 150-200.000 euro. Se vuoi fare appello devi pagare 21.000 franchi e altrettanti per la controparte, in totale fanno 42.000. E quindi gli atleti non vanno avanti. Non è giustizia, questa. Ti mette ko a livello finanziario, impedisce il diritto alla verità».

Proprio gli alti costi gli hanno fatto decidere che non farà un altro processo sportivo.

«Ho pensato di ritirare il ricorso al Tribunale federale svizzero, ma non lo abbiamo fatto: se decidessimo di andare davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ci mancherebbe l’istanza di merito. Un nuovo processo sportivo non lo farò, per pura questione economica».

 

 

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