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L’Italia la unisci solo con il pallone e con i lockdown

Abbiamo vinto da italiani, altro che dominio del centrocampo. E adesso “Noi non siamo napoletani” stonerebbe con le parate di Donnarumma e i colpi di Insigne

L’Italia la unisci solo con il pallone e con i lockdown
Mg Roma 11/06/2021 - Euro 2020 / Turchia-Italia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: tifosi Italia

L’Italia la unisci solo con il pallone e con i lockdown. In nessun altro modo il Paese vince le sue paturnie, dimentica le sue contraddizioni, perde la sua proverbiale capacità di auto-flagellarsi. Italia-Spagna è stata la vittoria media di un popolo che nasce, vive e morirà machiavellico anche se ha provato con brillanti risultati ad essere progressista fino ad immaginare di poter battere gli iberici con la loro invenzione: il dominio del centrocampo. No ragazzi miei, la si vince a modo nostro mettendo, dopo il vantaggio, un difensore in più perché è più bello stringersi a coorte che contrattaccare. Siamo italiani mica brasiliani?

Siamo in finale senza un attaccante decisivo ma con la difesa più forte quella che pare sempre arrancare ma poi trova comunque il modo di restare a galla con il vecchio Chiellini ed il sorprendente Di Lorenzo, con Toloi e Bonucci e l’automatica deduzione del telecronista Rai che, con Chiesa preso dai crampi, pensa ad un cambio con Acerbi. Chi altri sennò? L’ennesimo difensore.

Siamo ribelli, rivoluzionari, cittadini del mondo, mitteleuropei finché non ci troviamo a scegliere tra un Ddl sui diritti civili e la vittoria di un Europeo. Il conservatorismo ci appartiene, ci dà gusto, ci fa gongolare e allora Insigne schiacciato sulla linea di centrocampo e Berardi a tutta fascia danno il senso di appartenenza alla nostra capacità di essere sempre i soliti, nonostante tutto.

Roberto Mancini è il grande protagonista, tra tanti maestri presunti e professori ad honorem, ha riscattato il calcio italiano, umiliato nel recente passato e malmenato da una Serie A mediocre. Ha rimesso insieme i cocci, ha proposto idee nuove, ha dato gioia al pallone dei suoi ragazzi salvo poi accettare, contro la Spagna, di essere inferiori e chiudersi come solo Trap ci ha insegnato lasciando, però, sempre al centro il fenomeno Jorginho, il gigante, l’impavido dal cuore latino.

Siamo in finale, con le piazze di nuovo piene, i caroselli, le mascherine strappate e l’illusione di un mese di normalità acquisita quella del populismo dilagante e sguaiato e del sovranismo delirante che imperversa tra i cronisti che chiamano l’inno “il canto degli italiani” dimenticando forse quale sia realmente in ogni stadio il coro più ambito.

“Noi non siamo napoletani” ma ora stonerebbe con le parate di Donnarumma o sulle prodezze di Insigne e allora attendiamo e riprendiamoci il peggio quando, ritornerà. Andiamo a Londra anzi restiamo a Londra e già arrivano le prime avvisaglie, parlano i tabloid di “un calcio che ritorna a casa” come se poi, oltre a quel discutibile trionfo del 1966, avessero vinto qualcosa ma forse, essendo lo humor inglese poco intuibile, intendevano dire “Con l’Italia in finale il calcio ritorna a casa”. Ora si.

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