ilNapolista

La mamma di Berrettini: «In Italia chi fa sport è penalizzato. Dovevamo nascondere le trasferte alla scuola»

A La Stampa: «Le assenze sue e del fratello non erano ben viste. Matteo può sembrare chiuso, in realtà è solo molto selettivo. Ha bisogno di amore, di dare e ricevere energia».

La mamma di Berrettini: «In Italia chi fa sport è penalizzato. Dovevamo nascondere le trasferte alla scuola»

La Stampa intervista la mamma di Matteo Berrettini, Claudia. Racconta suo figlio, che sarà impegnato oggi a Wimbledon nella finale, contro Djokovic. Il primo italiano ad arrivare a questo traguardo.

«Matteo da ragazzino era come lo vedete adesso. Non voglio dire introverso, ma più maturo della sua età, molto attento a tutto quello che gli capitava attorno. Ricordo il suo primo torneo, al Tennis Club Panda, a Roma, sulla Nomentana. Era al primo anno da Under 10, e a sorpresa vinse la finale. Nel tie-break che sostituiva il terzo set, il suo avversario toccò una palla destinata fuori prima che toccasse terra, e Matteo glielo fece notare: come adesso non gli scappa nulla».

Una famiglia di tennisti, che ha sempre accompagnato Matteo ai tornei, dall’Under 12 all’Under 16. Ci andavano in camper.

«soprattutto in Austria e Germania, perché era più facile con il camper, e con noi veniva sempre anche il nostro cane, Yannik, battezzato così in onore di Noah, ma senza la ‘c’».

Sul carattere del figlio:

«Matteo può sembrare chiuso, in realtà è solo molto selettivo, se qualcuno non gli va a genio non c’è verso».

Racconta di quando Matteo andava a scuola.

«Per un anno ha fatto lo scientifico normale, e a scuola andava bene, quando il tennis è diventato più impegnativo però è stato lui a dirmelo: ‘mamma, non ce la faccio’. Così è passato al Liceo Sportivo, purtroppo in Italia chi fa sport è penalizzato. Quando ho capito che le assenze sue e di Jacopo non erano ben viste, ho incominciato a ‘nascondere’ le trasferte: credo siano stati i due fratelli più ‘raffreddati’ e ‘influenzati’ della scuola italiana».

Claudia Berrettini elenca anche le persone più importanti nella formazione del figlio.

«Per la sua formazione è stato importante un maestro, Francesco, che faceva lezione suonando la chitarra, a iniziarlo a letture più complesse (Bukowski, Hesse, Williams, ndr), è stato il suo mental coach, Stefano Massari, un’altra figura importante. Da piccolo trafficava con i Lego, ma anche con i bulloni e le viti: come fa oggi in campo cercava l’incastro giusto, la soluzione tecnica. Se non fosse diventato un tennista credo avrebbe fatto o l’ingegnere o il pilota».

Sul rapporto con il pubblico e con la famiglia:

«Matteo è uno che ha bisogno di amore, di dare e ricevere energia. Per questo gli piace giocare davanti al pubblico, e ne è ricambiato. Con noi è molto affettuoso, mi porta spesso fare shopping e non sopporta se non compro nulla. E ha gusto, anche dall’Australia mi ha portato un vestito. Da me ha preso il debole per scarpe e gioielli, si compra collane, anelli, bracciali. Prima di ogni partita se ne toglie sempre uno, che rimette alla fine. Lo ha già perso quattro volte, e noi glielo abbiamo sempre ricomprato: è una rosa dei venti, un simbolo che si è anche tatuato sul braccio, adatto a uno come lui che ama girare e conoscere il mondo».

 

ilnapolista © riproduzione riservata