ilNapolista

C’era una volta il Mancini narcisista

La rivoluzione manciniana passa dal silenzio del proprio ego e si caratterizza in una spietata forza di volontà del gruppo. L’Italia non trema mai, non ha mai paura di sbagliare, non si scompone.

C’era una volta il Mancini narcisista
Mg Londra (Inghilterra) 06/07/2021 - Euro 2020 / Italia-Spagna / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Roberto Mancini

Lo scriviamo adesso poiché dopo è semplice parlarne in un caso o in un altro. Amor gignit amorem come dolore genera dolore e sarebbe falsata la retorica. Roberto Mancini si è preso il Paese, quel che resta del calcio italico e lo ha fatto con una dote rara per certi mondi: la sensibilità. Ha abbandonato il suo narcisismo, sempre un passo indietro, sempre pacato ai microfoni, gli occhi lucidi e ridenti, lo sguardo mai imbronciato, il peso dell’impresa lo tiene serrando le parole e amministrando, con pudore, le lodi. Sembra parlare in maniera diversa ai calciatori, ne carpisce i sentimenti, le insicurezze. Coglie le sfumature dei volti e i momenti giusti in cui lanciarli nella mischia.

È capitato con Pessina come con Locatelli, con Di Lorenzo e per Toloi. Chiunque veda Mancio ci rivede tutti e se guardiamo ogni singolo calciatore italiano in campo ci rivediamo l’allenatore. La tattica, la strategia, la lettura della gara sono subalterne al potere dell’empatia che il ct ha riposto al centro della sua mission. Abbraccia lo staff e poi guarda da lontano i suoi gioire salvo poi avvicinarsi.

Questa nazionale sa di libertà, si diverte nei tragitti allo stadio e in albergo perché, se allenare è un equilibrio tra autorità e comprensione è anche soprattutto consapevolezza del materiale umano a disposizione. Mancini protegge i suoi ragazzi, lo ha fatto persino con Bernardeschi, la cui convocazione ha fatto rabbrividire tutti ma la motivazione che diede fece ancor più intendere il senso di squadra che avrebbe rivelato al Paese. Lo fa ancora con Immobile, che si danna l’anima per ritrovarsi. Lo fa con Insigne e lo ha fatto persino con Sirigu dandogli la gioia di essere parte, anche in campo, del gruppo.

La rivoluzione manciniana passa dal silenzio del proprio ego e si caratterizza in una spietata forza di volontà del suo gruppo come del suo staff. L’Italia non trema mai, non ha mai paura di sbagliare, non si scompone. Con l’Austria come con la Spagna ha voltato lo sguardo verso la panchina e ha ricevuto in cambio serenità e sicurezza. Il calcio italiano ha ritrovato, ha riscoperto, ha forse consacrato un protagonista positivo in un periodo buio. Roberto Mancini ha deteriorato in un mese i muri lerci del calcio-business per ridarci un umanesimo costruito sulle basi riscoperte della sensibilità, della autostima, della gioia.

ilnapolista © riproduzione riservata