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Signori: «Voglio allenare, ma non andare allo sbaraglio. Perdere dieci o undici anni non cambia nulla»

Al Foglio Sportivo: «Vorrei andare dove c’è un progetto. Anche Sacchi non aveva esperienza alla prima panchina, chiunque cominci a fare qualcosa è alla prima volta»

Signori: «Voglio allenare, ma non andare allo sbaraglio. Perdere dieci o undici anni non cambia nulla»

Su Il Foglio Sportivo, Giorgio Burreddu intervista Beppe Signori. Pochi giorni fa il suo nome è stato riabilitato dall’accusa infamante di coinvolgimento nel calcio scommesse. A distanza di dieci anni dalla squalifica.

Parla del futuro. Vorrebbe tornare nel mondo del calcio. Ma non per restare dietro una scrivania, ma per allenare.

A me manca l’odore dell’erba, andare sul campo, stare con i ragazzi, una prima squadra o un settore giovanile. Vediamo. Tutti dicono: ‘Ah, ma quello non ha esperienza’. Anche Sacchi non aveva esperienza alla prima panchina. Chiunque cominci a fare qualcosa è alla prima volta, è la vita. Capisco la diffidenza, sarebbe un salto nel buio, ma io so cosa posso mettere a disposizione”.

Dieci anni fa, prima della squalifica, Signori ha preso il patentino da allenatore.

“Vorrei andare dove c’è un progetto, magari dalla Lega Pro alla A. Nei dilettanti farei fatica, preferirei una Primavera o magari un’esperienza all’estero”.

Parla degli allenatori con cui ha avuto a che fare nella sua carriera da calciatore.

“Ho avuto cinque, sei allenatori in A, e credo che ognuno di loro mi abbia dato qualcosa. Sotto ogni punto di vista: umano, tattico, fisico. Mazzone sapeva come gestirmi e responsabilizzarmi. Zeman come farmi muovere. Zoff mi ha messo in una posizione che mi ha fatto vincere due volte la classifica cannonieri. Guidolin mi ha insegnato a correre nella maniera giusta. Ho avuto Boskov. Se vado indietro nei ricordi io sono un mix, il risultato di tutti loro”.

Ancora su Zeman:

“Il primo giorno mi guardò e disse: ‘ Ciao bomber’. Ciao bomber? A me? No mister, non sono io. Io: Beppe Signori. 5 gol, 3 su rigore. A Piacenza. L’anno scorso. Eppure lui qualcosa in me ci vide. E io credo che i grandi allenatori siano quelli che riescono a tirare fuori il meglio dei giocatori. Se hai un attaccante che non fa gol è inutile insistere. Però magari è bravo sull’unocontrouno, e allora devi fargli fare quello”.

Continua:

“Mazzone una volta disse una cosa: ‘Ragazzi qui siete in 25, io 25 teste non riuscirò mai a capirle. Cercate voi di capire la mia’. Finito. Tutto in una semplice frase. Una volta Zeman dopo che avevo fatto tre gol si presentò davanti a me e mi disse: ‘Perché ridi?’. Mister, ho fatto tre gol. ‘E i due che hai sbagliato? Ne dovevi fare cinque’. I grandi allenatori fanno così: vogliono vedere i miglioramenti, ottenere il risultato superiore, fare meglio della partita precedente, dell’anno precedente. Quello è l’obiettivo. La cosa che fa cambiare il punto di vista è l’obiettivo, che deve essere sempre quello di migliorare. E parte dalla testa. Perché il calcio ti dà la possibilità di rifarti la settimana dopo”.

Dieci anni sono tanti, ma lui non ha fretta.

“Come diceva Zeman: il tempo è fondamentale. Per le scelte, per fare gol. Pallatempo. Quindi il mio rapporto con il tempo è decisivo, è molto stretto. Anche in questa situazione di ricerca di una panchina è importante. Aver aspettato dieci anni è stato pesante, e tuttavia non ho così fretta. Sarebbe sbagliato andare allo sbaraglio solo perché ho perso dieci anni. Dieci o undici non cambia nulla. Credo che a tutti sia data la possibilità di poter allenare. Dipende se sarò bravo a sfruttare l’occasione”.

Racconta il giorno in cui i poliziotti andarono a prenderlo a casa.

“E’ stata dura. Quel 1° giugno 2011 non lo scorderò mai. Mi ricordo i poliziotti in borghese che vennero a prendermi a Termini, la tv che dava le notizie e io che spegnevo e forse per farmi del male accendevo di nuovo. Ho visto le persone cambiare sguardo. Mi chiedono se qualcuno mi ha deluso. No, sapevo che chi c’era sarebbe rimasto e chi aveva dubbi sarebbe andato via. E’ stata una selezione naturale. Ma non è stato facile. Papà e mamma hanno vissuto situazioni spiacevoli, anche perché vivendo in un paesino… Scritte sui muri. ‘ Signori boia’. E adesso gli stessi che avevano cambiato sguardo dicono ‘ io lo sapevo’. Ma sapevi cosa? Per un bel pezzo io e mia moglie abbiamo avuto la sindrome da campanello. Chi è, chi è, chi è. Magari era il postino, ma avevamo la paura che fosse un carabiniere o un poliziotto. Ai miei figli ho detto: voi dovete essere orgogliosi di Beppe Signori come giocatore, ma più di vostro padre, perché alla fine riuscirà a dimostrare che le cose non sono andate così. Adesso sono felici”.

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