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Se l’Inter dà 6 milioni l’anno a Calhanoglu, vuol dire che il calcio non ha imparato niente

Le lacrime di coccodrillo del calcio pandemico sono un lontano ricordo. La giostra è ripartita come prima, peggio di prima. Le eccezioni sono rare

Se l’Inter dà 6 milioni l’anno a Calhanoglu, vuol dire che il calcio non ha imparato niente
Milano 23/12/2020 - campionato di calcio serie A / Milan-Lazio / foto Image Sport nella foto: esultanza gol Hakan Calhanoglu

Ve li ricordate quei bei discorsi del mondo del calcio durante la pandemia? A noi ricordano tanto quelli del “ne usciremo migliori”. Scempiaggini che si pronunciano quando si è sull’orlo del burrone, tremanti, col terrore di non riuscire a vedere il domani. In quegli istanti, col precipizio a due passi, il terreno che comincia a franare, si promette di tutto: di cambiare vita, abitudini, tutto. L’importante è conservarla la vita. Poi si vedrà. E quando il burrone torna a essere un lontano ricordo, ecco che si ripiomba alle care vecchie abitudini, alla comfort zone che tutti ci eravamo costruiti.

Vale anche per il calcio. Del resto una scappatoia al Covid il sistema dei ricchi (o presunti tali) l’aveva già trovata: agganciare l’astronave della Superlega. Un Gattopardo dei giorni nostri. In grado di assicurare più soldi a quelli ammessi nel club esclusivo.

Dopo la pandemia il calcio è ripartito uguale a prima, se non peggio. Con qualche scaramuccia che ha fatto notizia, come quella relativa al triangolo Mendes-Fiorentina-Gattuso.

Si è ripartiti con i procuratori che dettano legge. Spadroneggiano. Impongono nomi. Di calciatori e anche di allenatori. Detengono il potere, perché detengono la mano d’opera. E se vuoi i calciatori, devi sottostare a determinate regole, determinate commissioni, pagare determinati mediatori. È la filiera del calciomercato. Non c’è Report che tenga. Le trasmissione tv fanno il solletico. Così come qualsiasi altra inchiesta. Leggiamo del Manchester United pronto a offrire a Pogba un rinnovo da ventidue milioni. Ventidue!

Ci sono flebili voci di dissenso nel panorama calcistico. Lampi nel buio. C’è Maldini che dà il benservito a Donnarumma. Al portiere della Nazionale non bastava un contratto da 8 milioni netti a stagione. A Parigi ne andrà a guadagnare 12. Perché se da un lato c’è un Maldini che dice no alla spirale al rialzo. Dall’altro c’è un Al Khelaifi che invece sborsa perché punta ad accrescere la propria forza e il proprio prestigio. C’è la vicenda Fiorentina di cui si è scritto tanto. Il Real Madrid che non ha ceduto a Sergio Ramos. Poca roba. Il punto è che imboccare un’altra strada, vuol dire anche ipotizzare di indebolirsi nel breve. Anche perché, come visto con Al Khelaifi, c’è sempre il club che se ne frega dei bilanci e del post-pandemia.

E il Milan lo ha constatato con Calhanoglu. Ha detto chiaro e tondo al turco che il rinnovo sarebbe stato possibile a una cifra non superiore ai quattro milioni. Ah sì? E in quattro e quattr’otto l’entourage del turco ha trovato l’Inter disposta a versargli  cinque milioni netti per tre anni, più uno di bonus. Calhanoglu non dovrà neanche cambiare città. Solo casacca e centro d’allenamento. E francamente a noi pare che se un club, persino in condizioni economiche critiche, sia disposto a pagare sei milioni netti a stagione un giocatore assolutamente normale come Calhanolgu, allora vuol dire che non è cambiato assolutamente niente. Che quelle del calcio pandemico sono state le classiche lacrime di coccodrillo. A noi Calhanoglu ricorda tanto Guglielminpietro che l’Inter mise nello scambio che portò Pirlo in rossonero, per non parlare di Coco scambiato con Seedorf. Quando si dice la lungimiranza.

En passant, diciamo che non è una buona notizia per il Napoli che deve affrontare il rinnovo di Insigne. Perché se Calhanoglu guadagna sei milioni l’anno, non immaginiamo a cosa possa ambire Insigne. E lo diciamo noi che non possiamo certo definirci innamorati del capitano.

Il calcio non ha imparato niente. E chissà se imparerà. Il sistema calcio potrà cambiare soltanto con una strenua resistenza da parte dei presidenti. Che ovviamente per dire no ai ricatti dei procuratori e alle pretese dei calciatori dovranno andare incontro a possibili indebolimenti della squadra e conseguenti proteste dei tifosi. Perché – questo va sottolineato – i tifosi hanno scelto per sé il ruolo più semplice: quello degli irresponsabili. Loro ci mettono la fede e l’amore e rivendicano il ruolo di irresponsabili; in compenso, altri devono metterci il grano. E se non lo fanno, parte la ruota della contestazione.

Il sistema è sempre lo stesso. Al centro ci sono i calciatori che non ne vogliono sapere di rinunciare a qualcosa. Anzi, pretendono sempre di più. Lo fanno perché sanno che troveranno sempre qualcuno disposto a offrirlo. Come dimostra l’affare Calhanoglu. È una situazione simile a quella degli scioperi. Tanto più è alta l’adesione, tanto più sono efficaci. Ed è quantomeno bizzarro, ne siamo consapevoli, un simile esempio per il sistema calcio e soprattutto per i presidenti. Ma soltanto loro possono decidere di cambiare il sistema. Non buttando la palla avanti, come per la Superlega. Che era solo un modo per provare a mettere la polvere sotto il tappeto, per non affrontare i problemi.

Finché non lo faranno, calciatori e procuratori continueranno a spadroneggiare. Con buona pace di inchieste, trasmissioni tv, dichiarazioni programmatiche e tutto quanto abbaia ma non morde.

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