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Mertens, ovvero il declino delle elites è un trauma troppo duro da guardare in faccia

Col Cagliari ha fatto rimpiangere Petagna. E non c’è nulla da aggiungere. Compare a sprazzi. Tutti temiamo quel che non osiamo dire

Mertens, ovvero il declino delle elites è un trauma troppo duro da guardare in faccia

La punizione alla Roma. Il gol numero 99 in Serie A, poi sarebbe seguito a minuti il centesimo, è il flash della nuova vita di Dries Mertens. Ha appena fallito un contropiede smozzicando zolle d’erba, con le gambe tradite dall’attrito o da una deficienza improvvisa di coordinazione. Il soprassalto suo, e di chi lo allena, e soprattutto di chi lo idolatra da svariate stagioni: una volta le sceglievano almeno apparentemente abili, le controfigure. Chi è quello? Quello è lo stesso che poi segna la punizione suddetta, e poi il raddoppio. Sbuffa, e noi con lui, per lo scampato pericolo: la presa di coscienza è rimandata, siamo ancora vivi, integri, aderenti alla figurina di Mertens attaccata al cruscotto tipo santino. Corri Dries, corri. E segna. Non corre più come prima, magari. Ma segna, segna ancora.

Segna alla Lazio, per esempio, disegnando una saetta dal limite, di prima, che è un esperimento di fisica: direzionare la forza impressa alla palla dal passaggio affilato di Zielinski e vedere l’effetto che fa. Fa.

Poi piange, Mertens. In seguito sapremo della morte della nonna, ma tutti i fan di Mertens (lui ha i fan, oltre che i tifosi. Sono una cosa a parte, i fan) prendono le lacrime per un altro intimo segnale. Non lo processano, e non vogliono che lo faccia lui, così davanti a tutti. Ma il tarlo è evidente: Dries soffre, ha perso sicurezze. Ogni gol – in questa lettura psicologica spicciola – è una resistenza.

Ora Mertens siede in panchina. E assiste come tutti alla tarda primavera di Osimhen. Ad un anno esatto dalla rivalutazione della carriera, con la firma del contratto ad honorem che ora rappresenta un precedente sul quale va sbattere, per principio, il futuro napoletano di Insigne. Entra col Cagliari, quando pareva che per la prima volta Gattuso stesse derogando allo schema delle sostituzioni a scatto fisso (Politano-Lozano, Mertens-Osimhen), sol perché il nigeriano si rompe la testa. Un infortunio. Entra e compie una specie di miracolo: fa rimpiangere Petagna. I più, di nuovo, lo pensano e se ne vergognano, scrollando la testa. Via cattivi pensieri, scio’!

Mertens è in versione non giudicabile, al momento. Si rischia d’essere frettolosi, irrispettosi, insensibili. Non è in crisi, nemmeno. Perché come con la Roma, con la Lazio, e in decine di altre occasioni, ha lo spunto d’orgoglio che lo salva. Funziona come un ritardante: ci evita il processo, ci tiene in attesa.

Il declino delle elites è sempre un evento traumatico, da maneggiare con cura. Anche solo a definirlo tale si rischia la topica un attimo dopo. Mertens sta chiudendo una stagione, tra infortuni e minutaggio contingentato, da 10 gol e 9 assist. A 34 anni paga come tutti il “metro Ibrahimovic”: la data di scadenza di intere carriere viene slabbrata per riflesso, gli anni prendono una dimensione stiracchiata, come l’età dei cani. Ma, di più, Mertens in quanto “mito” attuale, giocante, viene esaminato per curva d’appartenenza. La sua involuzione non è tattile, è una sensazione. I minuti finali col Cagliari tradiscono lo stesso disagio del contropiede vanificato contro la Roma. Siamo di nuovo a quel punto lì, adesso. Senza la punizione che arrivi a tirarci fuori dalle sabbie mobili.

E più d’uno s’è interrogato sull’efficacia della sua posizione strategica, nella rosa del Napoli. Assente nel momento del bisogno, nel lungo inverno che pure Osimehn ha saltato, ripresosi a fiammate, Mertens è ora latitante nella volata finale. Quando il carrozzone della Champions ha preso a correre, ad una velocità che il Napoli pare reggere ma lui no.

Il club ha intenzione di esercitare al termine della stagione l’opzione per il rinnovo di un altro anno, facendone definitiva bandiera per altri due anni. Una scelta matura, soppesata. Con un cambio di registro: usarlo come antidepressivo naturale. Una punizione qua, un lampo di genio là, schizzi di fantasia. Basta adeguare le aspettative alla sua nuova vita, o almeno prenderne coscienza. Fa meno male, così.

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