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Ha ragione Gasperini, il calcio è truccato, vince chi si indebita. È l’altro doping

Atalanta e Napoli sono virtuose e perdenti, mentre le cosiddette grandi – Inter Milan, Juventus e Roma – sono sommerse dai debiti

Ha ragione Gasperini, il calcio è truccato, vince chi si indebita. È l’altro doping

Avevano inventato una sigla con facile acronimo annesso, FPF: Fair Play Finanziario. Che voleva tradurre il concetto delle pari opportunità nel calcio anche in una sorta di galateo economico, di buone maniere che rendessero lo sport accessibile ai sogni di tutti, fatti salvi gli sforzi apocalittici che servono per realizzarli. Con limiti, tetti, regole più o meno stringenti e derogabili. Avevano almeno determinato un principio, peraltro banale: si compete senza imbrogliare, il minimo sindacale. L’FPF era – e ne parliamo al passato perché giace moribondo, in attesa che l’Uefa ne dichiari l’ora del decesso – un antidoping: basta bilanci anabolizzati e trucchetti contabili. La decenza, almeno quella, di ipotizzarci se non uguali simili. Poi è sopraggiunta la madre di tutti gli alibi: “la crisi”, ed è venuto giù tutto.

L’Inter ha appena vinto lo scudetto al di sopra delle sue possibilità. In palese oltraggio alla pudicizia s’è indebitata fino alla morte (e non è retorica, non fosse il calcio un pianeta a parte l’azienda Inter avrebbe già depositato i libri contabili in tribunale) per passare prima al traguardo. Col risultato, esilarante, di celebrare i suoi campioni ribaltando il premio-scudetto: “ci potreste ridare indietro gli stipendi? Siamo un po’ alla canna del gas”.

Più seriamente, scrive il Corriere:

«Il club nerazzurro ha necessità di abbattere il costo del lavoro e portarlo dagli attuali 220 milioni (comprensivi di incentivi all’esodo per i vari giocatori in prestito) a non più di 190, meglio se 180. L’amministratore delegato Beppe Marotta ha confermato che i bonus verranno versati regolarmente, la proprietà dovrà poi pagare entro il 30 maggio gli stipendi di novembre, dicembre (differiti in base a un accordo con la squadra), marzo e aprile: quattro mesi per un totale di 60 milioni. Senza un’intesa la proprietà dovrà pagare».

A questo punto interviene Gian Piero Gasperini, secondo in classifica con l’Atalanta, che esprime il disagio suo e di tutti quelli che ambiscono a vincere sì, ma rispettando le regole:

«È difficile porre come traguardo lo scudetto per una società come l’Atalanta. C’è rispetto alle grandi una disparità economica molto elevata. L’obiettivo dell’Atalanta è quello di migliorare, ma in questo modo non potremo mai iniziare un campionato per vincerlo. Io credo che occorra un’organizzazione uguale per tutti: bisogna favorire chi fa le cose in maniera adeguata e ottiene risultati»

Il tema è enorme: il calcio è truccato. Se non bari, non puoi vincere.

L’Atalanta, attualmente davanti in Serie A a due delle tre società italiane che la reputano non meritevole di stare tra le grandi d’Europa, la squadra che si è piazzata terza nelle ultime due stagioni, che ha raggiunto i quarti e gli ottavi di Champions, ha chiuso il bilancio al 31 dicembre 2020 con 51,7 milioni di utili. Ma come, non c’era la crisi?

L’indebitamento complessivo dei club di Serie A ha sfondato l’anno scorso il muro dei 4 miliardi di euro, in crescita dell’11% rispetto alla stagione 2017-2018. La “grande industria”, quante volte abbiamo sentito il refrain? In questo contesto il Napoli, altro esempio di gestione oculata e virtuosa, ha un saldo tra debiti finanziari e liquidità alla data di chiusura dello scorso bilancio in attivo di 105 milioni.

La contrapposizione con quelle che per tic e tradizioni etichettiamo “grandi” è imbarazzante. La Juventus ha debiti per 385 milioni di euro. La Roma per quasi 300, l’Inter per 244. Il Milan che ha un debito lordo di appena 103 milioni di euro passa quasi per una società che scoppia di salute.

Che valore hanno i conti a posto in una competizione simile, si chiede Gasperini? Che senso ha sedersi ad un tavolo del genere, sapendo che gli avversari hanno garantito un mazzo di carte a parte? La sentenza – logica elementare – è che per un club che vuol fare le cose per bene non c’è spazio, se non nel ruolo di comprimario, di avversario da battere. Utile alla causa in quanto vittima sacrificale: il cane zoppo mandato al macello contro il grizzly. Ogni tanto, per miracolo, il cane azzanna, combatte, quasi sembra farcela. Poi alla fine vince l’orso strafatto di anfetamine. Poi, alla fine, vince l’Inter.

L’idea della Superlega, da tutti rigettata per repulsione automatica, era in effetti solo il plastico della situazione reale. Metteva ordine, in qualche maniera. Separando il calcio dei kamikaze da quello degli imprenditori ancora capaci di intendere e di volere. L’abbiamo snobbata, ma forse andava intesa per quel che era: un circolo privato a inviti, tipo fight club, dove poter sfogare tutto il proprio masochismo aziendale, in auto-isolamento controllato.

Che l’Inter possa fregiarsi d’un titolo ufficiale, ottenuto “sul campo” mentre in ragioneria continuavano a post-datare, a fare cambiali, a impegnare il futuro stesso del club, è paradossale. E lo è ancora di più che a sottolineare il problema debba essere un allenatore, Gasperini, in una intervista post-match qualunque.

Una settimana dopo aver festeggiato lo scudetto, l’Inter si ritrova in prima pagina tra austerity, riduzione dei costi, rinunce e cessioni. Lacrime e sangue. Conte, che s’è appuntato all’uniforme il gagliardetto del suo miracolo personale, potrebbe scendere dalla barca prima che affondi. E potrebbero seguirlo Marotta e Ausilio. L’intera area tecnica nerazzurra in fuga, a successo ancora fumante.

Gasperini lo chiama “meccanismo”, altri “sistema”. E’ un congegno distorto, che ammette prevaricazioni e raggiri. Doping, in tutta la pienezza del termine. L’Atalanta, il Napoli, come possono ancora accettare una situazione di tale disparità, fingendo di stare al gioco?

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