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Fiorentina-Napoli vista al parco, la Corazzata Potemkin dei complottisti

Scene fantozziane tra i forzati del picnic. Una giornata a rincorrere connessioni, rigori sbagliati e poi segnati, bestemmie e famiglie schifate dai tossicodipendenti del tifo

Fiorentina-Napoli vista al parco, la Corazzata Potemkin dei complottisti

È stato quando il signore del tovagliato a fianco, richiamato da troppe urla sospette, s’è risistemato la canotta nel pinocchietto, ha sollevato con molta accortezza prima un arto, poi l’altro, ha emesso un vagito digestivo e ci ha raggiunto ballonzolando nelle sneakers piegate sul tacco a uso zoccolo. “Ha segnato? Ce la fanno vincere sta partita?”. È stato in quel momento che s’è sciolto il sangue del Parco di Capodimonte. Insigne inginocchiato sul prato di Firenze, e noi appresso a lui, genuflessi sull’erba malrasata del picnic domenicale, chi a esultare per il gol scaccia-pensieri, chi a infamare la stabilità emozionale del capitano: “l’aveva sbagliato, l’aveva sbagliato!”; “nun ce pensa’ Giua’, GOL!”. Altri ancora ad osservare con divertito distacco questi marziani a fare capannello da un’ora, inchiodati ad un cellulare, alla connessione a singhiozzo, al gioco delle ombre sullo schermo, all’angolazione migliore per non perdersi un attimo di Fiorentina-Napoli mentre i figli pascolavano liberi, alcuni rischiando la vita inerpicandosi sugli alberi.

La visione della partita in pubblico, all’aperto, ma non allo stadio, di una partita decisiva (per quanto decisiva possa essere l’epocale “qualificazione Champions del Napoli” agli occhi di chi della suddetta Champions non sa che farsene, le persone normali) è un continuo richiamo a situazioni grottesche che ben conosciamo. La riproposizione aggiornata al 2021 di scene che Paolo Villaggio aveva già ridicolizzato negli anni 70. La festa organizzata “all’aperto, con mascherine, ben distanziati” (etichetta imprescindibile per ogni evento sociale in pandemia, il galateo minimo dell’invito), all’ora del pranzo che è anche l’ora del match dei fantasmi – a quell’ora, in teoria, la partita dovrebbe già essere stata persa in albergo, ma tant’è – è una Corazzata Potemkin in versione agreste.

I più devoti alla famiglia si prestano volentieri, camuffando gli auricolari sotto orrendi cappellini, nascondendo i tablet nel doppiofondo della frittata di maccheroni. Non c’è il controllo all’ingresso, ma insomma. Alcuni, i tossicodipendenti del pallone, hanno lanciato le famiglie dalle auto in corsa, all’ingresso del Parco, i più sensibili sfruttando il semaforo rosso. Per poi sgommare lontani. Arriveranno alla spicciolata, intorno alle 14, mezzi abbirrati e contenti. I figli gli saltano al collo come reduci dalla battaglia (“è tornato papaaaaaaà, è vivo!”), le compagne si trattengono per civiltà, alcune per assuefazione.

Chi è dentro è dentro. E dentro quei confini lo straniamento è temporale. Gli antidiluviani che ascoltano la cronaca alla radio hanno l’esclamazione precoce e non si curano certo dei colleghi di sventura, in ritardo streaming. Per cui quando Insigne colpisce la traversa s’ode la prima bestemmia, poi la seconda, infine si sgrana l’intero rosario. “Scusi, chi ha fatto palo?“, chiede un tipo arrampicandosi sull’assembramento di sconosciuti come Antognoni sulla schiena di McKinley. “Papà ma torni?” chiede un ragazzino lasciato con un racchettone in mano, ramingo. Fantozzi in purezza.

I controllori dell’ordine pubblico, impegnati a rincorrere Supersantos illegali e mascherine abbassate, imperversano col fischietto. Sembrano arbitri. “Rigore!”, urla uno. Dalla steppa l’eco: “Rigore!”, e poi così in concatenazione fino a Porta Piccola. E’ un richiamo primitivo, ancestrale. I tifosi trattenuti scattano, convocati al primo cellulare disponibile come Abisso alla Var. La trepidante attesa. “E’ rigore!”, riparte il telefono senza fili.

In pochi secondi accade di tutto. Insigne tira male, sul portiere. Sacramentano quelli con la radiolina, poi quelli con le notifiche sugli smartwatch, poi a cascata quelli di Dazn. Insigne raccoglie la respinta e segna. I tifosi con la radiolina esultano, le notifiche non se le fila più nessuno, il tempo che anche a Dazn arrivino i riflessi filmati del vantaggio del Napoli. “Goooool”, “gooool”, “ooool”, “ol!”. Un 1-0 a strascico, che riverbera per il parco come un’onda sismica.

Lo scarto, tattile, tra la sofferenza dei genitori tifosi e la gioia dei figli che corrono sui prati felici come Annette. La disperazione dei pochi ancora lucidi che si specchiano sugli schermini, rivedendosi rosi da una malattia che gli toglie tempo, energie, l’affetto dei propri cari. L’immediata consapevolezza di sé, nel ricadere nel tombino del complottismo: “Guarda la Fiorentina come si impegna alla morte! Maledetti!”. Non c’è freno all’incuria di sé. Non c’è relax. Il trauma perverso dello sconfittismo s’annida ovunque, dietro una siepe, un albero. Persino dietro il sorriso tenero d’un infante che prova a catturare una farfalla (“perché menti, infante? Perché mi distrai? Perché mi vuoi illudere che va tutto bene? Lo so che ora il Mossad regalerà 12 rigori alla Fiorentina, lo so!”). E via dunque ad azzannare quei pixel, mentre qualche caritatevole amico prova a disinnescare la tensione, “li vuoi i rustici? Ti faccio io il piattino?”, ricevendone in cambio un mezzo sorriso e un’occhiataccia spiritata: “Ma che va trovando Ribery?!”.

Il gol di Zielinski, quello sì, salva la domenica di tutti. E’ come se il parco riprendesse a respirare. In realtà l’ansia asfissiante della storia che ciclica si ricompone, sempre nelle stesse forme, per punire il Napoli è una distorsione dei pochi che ne soffrono. C’è tutto un mondo là fuori che se ne frega del Napoli, e del calcio in generale. Una realtà parallela che rintracciamo solo quando per un caso fortuito, costretti, ci sganciamo dal calendario del Napoli e usciamo. Incredibile, c’è davvero gente che campa lo stesso.

Ma non c’è tempo per queste quisquilie da filosofia spicciola.

“Papà vieni a giocare a pallone? Il Napoli ha vinto, la partita è finita…”.
“Sì, va bene un attimo e arrivo”.

Giusto il tempo di calcolare gli effetti aritmetici del rigore non fischiato al Benevento per garantire al Cagliari il salvacondotto fondamentale per poter far vincere il Milan in scioltezza, alla sera. Una trama palesemente ordita dal Palazzo per buttare fuori il Napoli, magari all’ultima giornata domenica prossima, alle 15. La fatal Verona, pure se si gioca a Napoli.

“Quella però me la vedo a casa, è fondamentale quella”.

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