Tim Parks: «Il calcio è appartenenza. L’estetica del calcio non è il calcio»

Al Foglio: «Se lo guardi per il bel gioco ci sta che ti stufi e forse te lo meriti pure. Allo United non aver vinto ci allontana un po' di gente arrivata per caso»

Tim Parks

Photo Matteo Ciambelli

Sul Foglio c’è una bella intervista di Fulvio Paglialunga allo scrittore Tim Parks che descrisse molto bello la passione calcistica in Italia attraverso le domeniche vissute nella curva del Verona. Si parla ovviamente di calcio, Parks esprime concetti molto interessanti sul calcio come senso d’appartenenza, sulla funzione sociale dello stadio. Estrapoliamo due risposte. L’intervista è lunga, vi consigliamo di leggerla tutta.

Se mi trovo a vedere un film che non mi piace vado via dal cinema. Avrò sprecato i miei soldi, ma non mi interessa guardare una cosa brutta. Allo stadio, invece, resto anche se lamia squadra è sotto 4-0 perché è la mia squadra. Pensi, un po’ mi vergogno che il Manchester United sia diventato un prodotto globale. Per anni ho sentito l’imbarazzo di dover spiegare che tifavo per lo United perché ero nato lì, perché mi avevano portato allo stadio da piccolo, che non ero stato attratto dal marketing, mentre si aggiungevano tifosi da tutto il mondo. Quasi quasi non aver vinto niente negli ultimi anni non mi dispiace: ci toglie un po’ di persone arrivate per caso. Se guardi il calcio per il bel gioco ci sta che ti stufi e forse te lo meriti pure. L’estetica del calcio non è il calcio.

Tutto il mondo si sta spostando verso l’ossessione del risultato. Persone che cercano la vittoria per il proprio fine settimana, ma è un po’ triste, indica il vuoto che hanno intorno. Sono le distorsioni del calcio televisivo. Ma il calcio è una questione di appartenenza. È quella che rende lo stadio un luogo che unisce ragazzi scalmanati e tranquilli settantenni. Che non sono lì per il bel gioco. Altrimenti si va a vedere il balletto.

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