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L’operazione Superlega rischia di somigliare al golpe in Russia nel 91 (che finì in farsa)

Non ci sono buoni e cattivi. Il calcio è già iniquo oggi. Sono tutti palesemente inadeguati ad affrontare una crisi di sistema. Quel golpe fu la fine della grandeur russa

L’operazione Superlega rischia di somigliare al golpe in Russia nel 91 (che finì in farsa)

L’operazione Superlega comincia ad assomigliare al golpe in Russia del 1991. Durò qualche giorno in più rispetto allo spazio di un mattino. Il mondo credette al ritorno della terribile Urss, Gorbaciov spodestato, il vice Janeav che prese possesso di radio, tv e anche del telefono. Demetrio Volcic scrisse che rispose lui alla Casa Bianca che chiedeva del presidente. Furono i giorni di Eltsin sul carrarmato col megafono. Di quel tentato golpe – versione russa de “Vogliamo i colonnelli” – resta l’immagine di Gorbaciov che scende dall’aereo con alle spalle Raissa e la nipotina. Di fatto quell’evento segnò la fine della grandeur russa.

Ecco. I giorni della Superlega probabilmente segneranno la fine della grandeur del calcio. Di fronte a una crisi di sistema che sta riducendo sull’orlo del fallimento colossi che si stanno rivelando di cartapesta oltre che gestiti da manager improvvisati e quindi inadeguati, la risposta sembra essere di corto respiro, del tutto inadeguata a invertire il piano inclinato su cui il calcio è adagiato da oltre un decennio.

Ieri abbiamo pubblicato l’intervista a un esperto di finanza estera, lo abbiamo soprannominato Gordon Gekko: leggetela, ha anticipato quel che stiamo vedendo scorrere davanti ai nostri occhi. Non solo, ma lo ha spiegato, ha parlato di calcio come economia profondamente interconnessa. Impoverendo gli altri, si accorcia la vita del sistema. Non il contrario.

L’intervista di Florentino Perez al Chiringuito somiglia proprio al discorso tv dei generali russi di quell’estate. Il mezzo è nuovo – il Chiringuito (grande trasmissione) – ma le parole sono parse terribilmente obsolete. Florentino è stato sin troppo onesto ad ammettere che la Superlega è stata la risposta alla voragine che sta inghiottendo i grandi club (non tutti ma quasi tutti). Il presidente del Real Madrid è riuscito nell’impresa di far apparire Rummenigge un economista di vaglia. Kalle – oggi dirigente del Bayern, azienda vincente e sana – ha espresso concetti banali, e cioè che di fronte a una crisi si procede al taglio dei costi, alla revisione dei costi, non all’aumento dei ricavi. Che loro oggi vedono perché JpMorgan ha approvato il progetto. Il che non è poco, per carità.

A noi, però, la Superlega sembra la risposta sbagliata a un problema drammatico. Potremmo anche dire la risposta farsesca, o sbruffona, a un’emergenza reale. È un modo per buttare la palla avanti. Per bluffare nuovamente di fronte ai soci al momento della presentazione dei bilanci gruviera (anche questo ha detto Gordon Gekko). Florentino ha reso evidente che non c’è alcuna visione d’assieme, che sono stati attratti dall’eldorado dei ricavi ma non hanno minimamente pensato a quel che potrebbe accadere a coloro i quali possiamo definire gli altri comparti dell’industria calcio. La Superlega si basa sull’illusione di eliminare il rischio d’impresa. Peraltro cancellando l’illusione che è alla base del calcio, quella che sia ancora uno sport. Ha ragione il professor Trombetti quando scrive che è più modello Globetrotter che modello Nba dove peraltro vigono regole ben definite che garantiscono competitività senza retrocessioni.

Su un punto vorremmo esser chiari. Qui non ci sono buoni e cattivi. Non è che improvvisamente la Uefa sia diventata la Caritas o la Fifa un’associazione umanitaria. Sono ugualmente responsabili di questo sfacelo. Così come i club rimasti fuori, non sono angeli. Non cadiamo in questo tranello. Il calcio è abbondantemente iniquo già oggi, basta guardare gli albi d’oro. È un’industria che non si tiene più. La pandemia ha accelerato questo processo ma non lo ha creato. Ha ragione Florentino quando dice che la Champions è noiosa. È vero. Ci siamo appassionati alla doppia sfida Psg-Bayern (peraltro entrambi fuori dalla Superlega) ma si era ai quarti di finale. È un torneo noioso, perché la Uefa – per motivi elettorali – ha dato un contentino a tutti. E a proposito di Bayern e Psg, facciamo qui un’osservazione che meriterebbe un approfondimento: ma può mai esserci in Europa una rivoluzione senza il placet dell’asse franco-tedesco? Ecco, con una forzatura potremmo dire che è la politica, con in testa l’asse franco-tedesco ma anche con Draghi e il governo inglese, a interpretare Eltsin. Oltre all’opinione pubblica che ha reagito in maniera violenta, a partire dai tifosi.

Tornando a noi, nessuno pensa ai fruitori del calcio, nessuno ci ha mai pensato e quando ci si ritrova di fronte alla crisi delle vocazioni (definiamola così), con i ragazzi che non guardano più le partite, non si ha altra risposta che provare a mettere insieme i calciatori più forti. Senza correggere minimamente le distorsioni del sistema: stipendi esagerati, filiera troppo lunga e troppo costosa, scomparsa della competitività in tanti campionati a causa della disparità di mezzi.

Una verità è che i signori del calcio – in Europa come in Italia – sono stati enormemente sopravvalutati. Si può essere inadeguati a guidare un’azienda anche se si porta un cognome importante. La sensazione è che tutti – Uefa, Fifa, gli scissionisti – non abbiano minimamente compreso le ragioni della crisi che sta attanagliando il calcio. Sono, a turno, protagonisti di fughe in avanti: che si chiamino Nations League o Superlega. È il caso che il calcio cominci a dotarsi di competenze manageriali vere. Ormai Uefa, Fifa, sono multinazionali. Servono esperti, professionisti, studiosi. Stiamo parlando di economia, di una scienza. L’approssimazione non porta da nessuna parte.

Perché sì, il calcio è in crisi. Così come la Russia. Forse una porzione di verità è che sta finendo un mondo. Quel golpe servì proprio a denudare la scimmia.

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