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Oggi i calciatori sembrano soldati al fronte che obbediscono a comandi incomprensibili

Il calcio non è più gioia. C’è stata una lotta di classe e l’hanno vinta i ricchi. I moduli sembrano prefissi telefonici. È come nell’800 quando si addestravano i soldati a perdere la propria identità

Nel bellissimo libro di Edoardo Galeano Splendori e miserie del gioco del calcio c’è un passaggio che ho trovato neoterico, nonostante il testo abbia ormai più di sei anni, e che cito alla lettera: Il calcio professionistico fa tutto il possibile per castrare questa energia di felicità, ma lei sopravvive malgrado tutto. E forse per questo capita che il calcio non riesca a smettere di essere meraviglioso. […] Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia.

Commenterei soltanto con una parola: magari! Ma non è più così. E non me ne vorrà certamente Galeano, dalla sua dimensione altra, se lo ricolloco nella cerchia dei sognatori, così come ogni grande scrittore. Una notizia che recentemente, sempre in titoletti piccini che vagamente risaltano all’occhio di qualche distratto lettore, qualche quotidiano (sportivo e non) ha diramato una statistica della Uefa in cui si descriveva ciò che annulla le speranze di Galeano: sono circa dieci anni che la Champions è vinta da uno dei tre club più ricchi del mondo. Il nano non impartisce più la lezione al gigante, il nero allampanato diviene egli stesso l’atleta scolpito in Grecia, i potenti del calcio hanno già vinto.

Tanto per citare un luogo comune storico: la lotta di classe è stata combattuta e l’han vinta i ricchi. L’han vinta i ricchi quando scaricarono Maradona dal mondiale del 1994 con una surrettizia (ma direi stupida) accusa di doping – pochi sanno che Diego Maradona insieme con altri calciatori più o meno famosi come Bebeto, Stoichkov, Laudrup, Zamorano, Hugo Sànchez, Francescoli, verso la fine del 1994 stava tentando di creare un sindacato internazionale calciatori che si schierava apertamente contro le politiche dell’allora deus machina della Fifa, il famigerato Joao Havelange – l’han vinta i ricchi quando imposero che i procuratori attraverso le loro società accentratrici abolissero l’attività di scouting capillare tanto utile allo sviluppo del movimento trasformandosi in “allevatori di cavalli” (non me ne vogliano i cavalli, bestie meravigliose ma li cito in senso storico) con enormi scuderie (tanto per intenderci la società di Jorge Mendes fattura come una media cittadina italiana e potrebbe costruire quattro squadre di calcio), l’han vinta i ricchi quando hanno imposto la tecnologia nel calcio (pensare che quando il calcio nacque in Inghilterra non c’era nemmeno l’arbitro), l’han vinta i ricchi poiché si parla sempre più insistentemente di Super Lega (è questione di pochissimi anni e verrà realizzata anche perché purtroppo il Covid sta accelerando l’evoluzione), l’han vinta i ricchi quando il calcio è diventato uno spettacolo televisivo (che ha snaturato l’essenza di questo splendido sport).

Posso già ascoltare le critiche in merito: era un processo ormai incontrovertibile, erano i tempi che incombevano, bisognava a tutti i costi monetizzare poiché le spese di gestione erano troppe etc etc; ciance, sono ciance, l’unico motivo è soltanto uno e incontrovertibile: vendere ai colossi della pubblicità l’attenzione dei tifosi, questo era ed è il business che ha svilito lo sport più bello del mondo. Cito il caso di Lionel Messi quando in onore dei Maradona indossò, sotto la propria del club Barcellona (sponsor tecnico Nike che finanzia il club ogni anno con cifre da manovra economica di un piccolo Stato europeo), la maglia del New Old Boy (sponsor tecnico Adidas) e che costò un mucchio di quattrini al calciatore argentino (che sicuramente non si è preoccupato di non poter comperare la pagnotta alla famiglia) e l’incazzatura dei manager del colosso statunitense. Per lo stesso motivo si è consentito ad un calciatore di poter guadagnare in due anni ciò che una città come Napoli, ad esempio, non fattura nemmeno in cinque tra tasse e servizi, la cifra credo che la conosciate tutti (sempre dello stesso calciatore sopra citato).

La cosa che mi diverte molto – premetto che da appassionato tifoso ormai non seguo più il calcio, mi interesso vagamente del Napoli (di cui non condivido nulla della politica societaria soprattutto negli ultimi due anni) e sono ritornato alla onesta e vecchia radiocronaca – quando sento parlare di numeri, ormai non si sente parlare che di numeri, numeri pari, dispari, numeri primi, numeri scomponibili e numeri e ancora numeri. Ma il 4321 (sembra un prefisso telefonico) è più indicato perché hai il tale calciatore che è più adatto (come se fosse un cavallo – poveri cavalli – da trotto o da galoppo) e quindi meglio il 3214 e tante ciance simili (inutili). La stampa cosìddetta di rilievo (stabilito da chi?) non fa altro che gareggiare a colpi di clic (questa pubblicità!) con titoli sensazionalistici che quasi mai parlano di sport, ormai le testate sportive o parlano di trasferimenti, acquisti, cessioni o di gossip.

E non mi venite a dire la solita frase: eh, sono i tempi… No non sono i tempi e nemmeno i momenti storici, sono le scelte ed è sempre una questione politica. La verità vera è che a nessuno dei tanti appassionati di calcio va di rinunciare allo spettacolo, all’esserci e illudersi; ci si ricorderà della scena del film Febbre da cavallo (Steno, 1976) in cui mandrake (il compianto Gigi Proietti) spiega chi è il giocatore dei cavalli: è uno che impiccia, traffica, imbroglia, more, azzarda, spera, rimore e tutto per poter dire ho vinto! Ecco, ritengo che lo stesso principio valga anche per il tifoso del calcio: poter dire ho vinto! E questa soddisfazione (magra), orgasmica, spinge ad ogni tipo di sopportazione, la domanda è quindi: giacché si parla di spettacolo (lo stesso De Laurentiis ha battezzato il suo arrivo a Napoli parlando di stadio salotto e spettacolo televisivo) a voi tifosi questo spettacolo piace? Vale i sacrifici e le rinunce e soprattutto la svendita della vostra attenzione (che potreste prestare ad altro – gratis) per una serie di automi che hanno (non per colpa loro) completamente disimparato la loro funzione, il proprio ruolo, la propria parte e cioè esseri umani che hanno estro, fantasia, passioni, gioie, invettiva?

Schierati come linee al fronte sembrano soldati che obbediscono a comandi incomprensibili che sanno solo sparare e non devono pensare. Questo modo di fare calcio somiglia alla concezione militare dell’ottocento quando l’automazione divenne lo scopo e non il mezzo e si addestravano i soldati a perdere la propria identità poiché dovevano essere semplicemente un pezzo all’interno di un ingranaggio gestito da altri, non dovevano pensare ma solo eseguire, nel minor tempo possibile.

Cosa importa ai ricchi (che hanno vinto) che gli infortuni aumentano ogni anno di più (legamenti crociati e infortuni muscolari sono in netta crescita) perché gli atleti sono sottoposti a ritmi estenuanti in nome di competizioni che sono solo vetrine per i marchi pubblicitari? Ma, giacché, come si suol dire: è sempre facile criticare ma mai proporre, da appassionato di calcio ho alcune proposte che rispondono alla popolarità del pallone. Innanzitutto riduzione del numero di squadre nei campionati in tutte le categorie, ridistribuzione economica a tutti i livelli e valorizzazione dello scouting territoriale (il calcio è splendido perché sport semplice, si gioca per strada senza impegni economici) con la regolarizzazione di strutture amatoriali (lo sport va restituito alla sua indole originaria). Dimezzamento del numero di partite in televisione (lo stadio torni ad essere il luogo – nei tempi che occorreranno naturalmente post Covid – di aggregazione ma soprattutto di fruizione multidimensionale – la tv stravolge l’essenza) e un tetto agli stipendi della categoria calciatori con un livellamento verso il basso (non può essere più considerata una professione così come la si è intesa da alcuni anni). Comprendere che l’enfasi del campione, l’aura di eletto è soltanto una costruzione mediatica, che l’influenza di un singolo su una squadra è statisticamente minima, educare alla complessità del sistema squadra piuttosto che insistere sui singoli rivelando a tutti che le differenze tra gli atleti sono pressoché insignificanti (tecniche soprattutto).

Detto ciò qualcuno obietterebbe dicendo che sarebbe un balzo indietro, tornare al passato che poi sarebbe impossibile; no. Chi osserva il presente sa benissimo che questo calcio è destinato a sgretolarsi in fretta, la maggior parte dei club sono in crisi economica (soprattutto i più ricchi), che si spinge per una super lega continuamente poiché solo restringendo il cerchio e accentrando tifosi e investimenti pubblicitari può sopravvivere il movimento, atleti costruiti e privilegiati come attori del cinema, sempre meno sporchi e sudati, sempre più spavaldi, maleducati e ricchi.

Il Novembre dello scorso anno ci ha lasciati il calciatore (cito Gianni Minà) più forte di tutti i tempi, perché faceva le stesse cose che faceva Pelè ma a velocità doppia, di cui riporto alcuni passaggi: la pelota no se mancha, il senso della lealtà dello sport, la palla come prolungamento della propria abilità, della propria intelligenza e non lo strumento di arrivismo, con connotazioni puramente aziendalistiche. Il calcio è il gioco dell’inganno, devi inventare, fare in modo che il tuo avversario creda una cosa diversa dalla tua intenzione.. Maradona docet.

Basta osservare una partita di questo calcio per capire il cambiamento in corso: svilimento dello sport (il calcio è un gioco di contatto) in cui il corpo a corpo sembra bandito come nel basket, in cui non si vede più un takle (le famose scivolate), una finta, un dribbling e potrei continuare all’infinito. No caro Diego, il calcio non è più il gioco dell’inganno, è divenuto una seriosa, pedante, previsione.

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