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Mihajlovic e Gattuso, l’elogio del passato quando non si vince nel presente

Che sia la passione per le punizioni o la troppa radio nello spogliatoio. Piacciono ai giornalisti sportivi che diffidano di chi non urla

Mihajlovic e Gattuso, l’elogio del passato quando non si vince nel presente

Mihajlovic e Gattuso, pur sedendo su due panchine diverse, sono portatori di che spesso si rincorrono a vicenda.

Entrambi sono laudatores temporis acti, avrebbero detto i latini. Davanti al microfono raccontano dei bei tempi che furono. Gattuso spiegò che i suoi spogliatoi erano diversi. Telefonini meno tecnologici. “Noi andavamo alla ricerca di più concentrazione”. Oggi invece, dove un di’ regnava il silenzio dei forti, c’è la musica. D’altra parte sono mesi in cui si è smarrito il veleno, la fame, il sangue agli occhi. Tutte connotazioni che, se non si ricordasse il contesto ludico del calcio, ti farebbero pensare ad una potente carestia del basso medioevo. Quando la musica in streaming scarseggiava.

Mihajlovic qualche ora fa, rispondendo a chi gli chiedesse dei pochi goal da calcio da fermo, ha spiegato che oggi manca la passione. Un ammonimento che ciascuno di noi si è sentito ripetere da una nonna o un vecchio zio. Di sicuro, dettaglia, quando giocava lui c’era spirito di abnegazione e i giocatori rimanevano dopo gli allenamenti a calciare le punizioni. Oggi, invece, appena suona la fine giornata, gli atleti corrono via e lasciano Mihajlovic a calciare verso una porta vuota, in una solitudine agghiacciante.

Fateci caso: nessuno incensa il passato per commentare una vittoria presente. Avete mai sentito un allenatore dire: “La vittoria di oggi? È solo frutto del modulo tattico inventato negli anni ’90, quando si giocava il calcio vero”. Mai. Il divario tecnico e morale col passato lo si tira fuori solo a corollario di una sconfitta. Ma forse è un caso.

Entrambi i tecnici sono amati dalla stampa. Piace la sfuriata, la mano in faccia al proprio calciatore anche per festeggiare un gol fatto, il fare ruvido e impervio che i giornalisti rendono sempre sinonimo di sincerità. Le persone che non urlano, per i reporter sportivi, hanno sempre qualcosa da nascondere. Per la stampa di settore la schiettezza si misura in decibel.

Un’altra cosa in comune ai due allenatori è il loro palmares da tecnici. Assai modesto. A tratti minimalista. Anche questa sarà una coincidenza. O colpa del grammofono.

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