Altro che costruzione dal basso, ciascun tifoso ha impartito la sua lezioncina di cazzimma da campi polverosi che il Napoli avrebbe dovuto seguire

Superato il novantesimo, qualsiasi sia il risultato, il tifoso del Napoli abbarbicato al divano diventa un negoziatore dei film d’azione. Ha un playbook da seguire, sa perfettamente cosa prevede il copione di chi mangia pallone e polvere da quando scardinava i Super Santos dalle marmitte delle 500 in mezzo alla strada. È un vangelo orale che si tramanda nei secoli dei secoli, dall’Eccellenza e Promozione fino alla Champions. Tipo: se è il 93′ e 10 secondi scarsi, e hai una rimessa laterale a tuo favore, spedisci il pallone in tribuna, ti allacci le scarpe, un altro simula una sincope a 50 metri dall’azione, e la partita è finita. Hai vinto se stai vincendo, ed eviti che un Sassuolo qualunque vada a prendersi un rigore del pareggio a tempo scaduto.
“Lo sanno tutti”, “è l’ABC”, “è la prima cosa che ti insegnano a scuola calcio”. Il tifoso medio ha già buttato un fegato nell’umido quando spollicia le chat e detta le teorie e tecniche della melina provinciale. E si badi bene: “provinciale” non denigra alcunché, si fa così “se annusi il pericolo”, se hai il veleno in corpo. “Non si cambiano due difensori prima di un calcio d’angolo” è un refrain che rimbalza nei bar da settimane, come se ci fossimo assuefatti a dover sottolineare l’ovvio a chi quest’ovvio lo pratica per mestiere. Discutiamo del Napoli come se fosse la Bacolese.
La regressione del Napoli a formazione molle e inebetita si legge nel commento arrabbiato dell’immediato post-partita. Non ci si angustia più per il risultato mancante e la classifica carente – certo, anche – ma per il modo in cui ci tradiscono questi professionisti che non sanno andare ad incatenarsi ad una bandierina come si fa da circa 100 anni, altro che costruzioni dal basso e “sottopunte”. La recriminazione è ormai viscerale: una volta tanto che stiamo “rubando” tre punti al netto del merito finiamo per regalare un rigore a partita finita, epilogo di un contropiede innescato da una rimessa laterale a favore. Un nonsense.
Incredulo, anche il più british degli osservatori sfoglia la sua memoria, una margherita fatta di campi di provincia, mazzate, catenacci e “maleparole”. E non ci si raccapezza: “ma come si fa?!”
Ecco, come si fa… Si fa come il Granada al Maradona, che ha concesso al Napoli 17 minuti di gioco effettivo e s’è portato in Spagna qualificazione e ramanzina morale di Gattuso: “Ah se lo avessimo fatto noi, quante ce ne avrebbero dette…”. Tantissime, un coro d’elogi sarebbe stato. Tutto il popolo vuole esattamente questo: che il Napoli addormenti una partita sul 3-2, senza gingillarsi in una gestione della palla snob che nessuno sopporta più. Il “calcio dei carini” non è aderente alla nostra realtà.
Napoli, al momento, vuol sentirsi provincia. Provincia di se stessa. E se pure la smania di dolenza è ormai una moda, talvolta ci azzecca. Dalla terza categoria in su, anche il più ignorante stopper a cottimo sa perfettamente cosa fare in una situazione simile: si perde tempo, punto. Traccheggi. Di Lorenzo buca il pallone con un taglierino, chiede l’aiuto da casa, fa il sudoku e solo poi dà la palla possibilmente a uno che sa maneggiarla. Se il prescelto è sventuratamente Bakayoko, costui se ne libera il prima possibile, fa il reso, si accascia in preda ai crampi. E se nonostante tutto l’avversario gli strappa il pallone, allora il succitato Bakayoko sacrificherà fedina penale e carichi pendenti neutralizzando il pericolo a costo della altrui esistenza. Gli avrebbero acceso un cero, ne avrebbero fatto un eroe. E invece.
La situazione è così malandata da ridurre ai minimi termini le aspettative: il Napoli attuale deve comportarsi come farebbe il Gladiator, senza vergognarsene. Abbiamo represso ambizioni e consapevolezza dei nostri mezzi, fino allo scheletro. L’essenza dell’agonismo. Stai vincendo? E vinci. Come s’è sempre fatto, come ci insegnarono quei bifolchi dei nostri padri: col grasso in faccia e la cazzimma della resistenza da vicolo. Altrimenti ci si continua a baloccare in una terra di mezzo, in un limbo: troppo grandi per fare la “piccola”, e troppo flaccidi per essere grandi.