«Se Lentini non nega l’estorsione la Ndrangheta lo ammazza, e gli prende l’azienda»
L'ex ala di Milan e Torino non ha ammesso in tribunale un'estorsione ai suoi danni di 100.000 euro. Le intercettazioni tra boss chiariscono la vicenda

«E che gli doveva dire? Che gli hanno fatto un’estorsione? Che poi lo ammazzavano. Che campava ancora a Carmagnola? L’azienda non gliela prendevano?»
E così Gianluigi Lentini, ex ala di Torino e Milan che prima di essere coinvolto in un pauroso incidente stradale era considerato tra le grandi stelle del campionato italiano anni 90, in tribunale ha ammesso di aver dato 100.000 euro a Franco Arone, un boss ndranghetista. Ma ha negato che si trattasse di un’estorsione: era solo un prestito, ha detto.
La verità, di cui tutti sospettavano, è uscita fuori dalle intercettazioni di una chiacchierata tra un soldato della ‘ndrangheta, Francesco Viterbo, e un amico allo Stadium Cafè in via Druento a Torino. La riporta tra le altre La Stampa, che ricostruisce l’intricata vicenda.
Nell’intercettazione Viterbo, che poi finirà arrestato, fa riferimento a un articolo di giornale in cui viene riportato in sintesi il contenuto dell’interrogatorio che l’ex calciatore ha sostenuto in procura davanti ai pm Paolo Toso e Monica Abbatecola.
«Gli ha detto: ma quale estorsione? Gli ho dato 100 mila euro per un affare e poi mi sono pentito il giorno dopo, però glieli ho dati, via! Li conosco bene bene gli Arone. A me non hanno mai fatto nulla»
Secondo il giudice – scrive La Stampa – “Viterbo ha affermato che Lentini non avrebbe potuto comportarsi in maniera differente in quanto se avesse ammesso di essere vittima di estorsione da parte del sodalizio, avrebbe rischiato di essere ammazzato innanzitutto, non avrebbe potuto più vivere a Carmagnola, avrebbe perso la sua azienda evidentemente a vantaggio dell’organizzazione mafiosa».
La cifra è stata restituita a Lentini, ma solo dopo l’ampia pubblicità data dai giornali alla vicenda. Spetterà ora alla Corte di Torino valutare se esistono o meno gli estremi di un reato, ovvero false dichiarazioni all’autorità giudiziaria.