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Gli abbracci non bastano

POSTA NAPOLISTA – L’abbraccio di domenica scorsa, come quello di Salisburgo, è sincero ma incompleto. Servono idee chiare e unione d’intenti

Gli abbracci non bastano

L’insoddisfazione in un abbraccio

Ci si abbraccia per ritrovarsi interi, rivelava Alda Merini. Domenica scorsa Gattuso e la squadra si sono abbracciati a lungo dopo il gol di Politano che ha allontanato momentaneamente gli azzurri dal ciglio del burrone. Almeno Il gruppo è sano, hanno commentato in tanti, Rino sarà pure un rompipalle ma la squadra lo segue, è il mantra di queste ore che precedono l’avvio di un febbraio senza soste.

Accadde lo stesso a Salisburgo qualche tempo fa, il gol di Insigne e l’abbraccio liberatorio con Ancelotti a ribadire che il peggio era ormai alle spalle. Poi sappiamo com’è andata, Abbracciarsi e dirsi addio, con reciproco malcontento. Perché in questo Napoli è l’insoddisfazione a farla da padrone.

Quella dei calciatori, spesso e volentieri bloccati a Napoli in un loop temporale da far invidia a Bill Murray nell’arguto Ricomincio da capo. Ve lo ricordate Raiola in giro per l’Europa a cercare di piazzare Insigne a 70 milioni di euro? Avete presente Allan infatuato di Parigi e dei petrodollari? Pensate che Koulibaly sia rimasto per sposare in toto il progetto azzurro oppure perché nessuno ha messo mani al portafogli per staccare l’assegno giusto? E Milik? E i mancati rinnovi di Hysaj e Maksimovic? L’unico capace di ridere a squarciagola è Mertens: a 33 anni schiodare una decina di milioni di euro a De Laurentiis è come aver vinto a poker contro Steve McQueen in Cincinnati Kid. Ma lì bisognava accontentare i tifosi…

I tecnici hanno avuto più fortuna, nel momento dell’insoddisfazione hanno tenuto duro e sono scampati all’insensatezza del loop. Mazzarri, Benitez, Sarri, meglio cambiare aria finché si può piuttosto che diventare i Benjamin Malaussène del Napoli. Ancelotti, dopo la prima stagione, ci è cascato ma poi è stato abile (e fortunato) a tirarsi fuori. I tifosi non hanno apprezzato ma col senno di poi qualcuno ha compreso.

Ecco perché l’abbraccio di domenica scorsa, come quello di Salisburgo, è sincero ma incompleto. Sembra voler rafforzare le comuni esigenze di squadra e tecnico, uniti da una sorta di acredine nei confronti della società, rea di essere lontana, rigida, patriarcale e poco propensa al confronto.

Come se ne esce? Con l’unione d’intenti più che con gli abbracci, con le idee chiare, con la capacità di ascoltare e decidere per il bene del Napoli e non solo di una delle sue componenti. E con i risultati, ovviamente.

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