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Gattuso non è l’allenatore che serve al Napoli

Il Napoli ha bisogno di un tecnico in grado di creare un valore aggiunto con le proprie idee. Il club sta accettando un ridimensionamento culturale

Gattuso non è l’allenatore che serve al Napoli

Un fallimento tattico

Per comprendere il fallimento tattico del Napoli, basta un solo dato estrapolato dalla sfida contro l’Atalanta: la squadra di Gattuso è riuscita a tirare solo 4 volte verso la porta di Gollini. Di questi tentativi, appena 2 sono entrati nello specchio. Una di queste 2 conclusioni è il (bellissimo) gol realizzato da Zielinski, l’altra è l’innocuo colpo di testa (con doppia deviazione) di Osimhen nel primo tempo. Stop. Fine delle trasmissioni.

Giusto per fare un confronto: dall’altra parte del campo, l’Atalanta ha tentato la conclusione per 19 volte, e in 5 occasioni ha centrato la porta di Meret. Tutti questi 5 tiri pericolosi sono stati scoccati dall’interno dell’area di rigore. Anzi, per la precisione appena fuori o addirittura dentro l’area piccola. Questo dato potrebbe essere ricondotto o potrebbe essere riconducibile a grandi problemi difensivi, ma nel caso del Napoli e della sfida con l’Atalanta è l’esatto contrario: a Bergamo, abbiamo visto affrontarsi una squadra che sapeva cosa fare con la palla e un’altra che non aveva la minima idea di come attaccare gli avversari. Che è rimasta in partita, nel primo tempo, solo perché ha deciso di non fare niente, di aspettare solamente che il tempo passasse. Che è stata prima schiacciata e infine travolta da un avversario organizzato con criterio. Ecco la differenza tra Napoli e Atalanta.

Eppure, prima dell’inizio della gara, sembrava che le cose fossero cambiate – o comunque potessero cambiare – rispetto alle ultime esibizioni del Napoli. Questioni di scelte tattiche e di uomini, da parte di Gattuso, che potevano far pensare a qualcosa di nuovo. A qualcosa di diverso. Vediamo perché.

In alto, la disposizione 4-2-3-1 in fase offensiva: doble pivote Bakayoko-Fabián e Zielinski qualche metro più avanti. Sopra, invece, il 4-4-2 in fase passiva.

Come si vede benissimo negli screen precedenti, il Napoli è sceso in campo con il 4-2-3-1/4-4-2 varato a inizio stagione. Anche le scelte di formazione ricalcavano in parte, o comunque per quanto possibile, le gare giocate nell’autunno 2020: doble pivote con Bakayoko e Fabián Ruiz; linea di trequartisti con Politano, Zielinski ed Elmas alle spalle di Osimhen. Anche i numeri dimostrano come questa impostazione abbia portato a un approccio diverso al gioco: nel primo tempo, il Napoli ha rinunciato al possesso palla (55%-45% in favore dell’Atalanta) per affidarsi soprattutto a passaggi lunghi (42, rispetto ai 25 dell’Atalanta) e alti (42, rispetto ai 33 dell’Atalanta). In pratica, Gattuso ha cercato di riprendere e ripetere la prestazione della gara d’andata, vinta meritatamente per 4-1.

Rispetto a quella gara, però, ci sono state alcune differenze visibili. Intanto, l’assenza di Mertens e Lozano e la forma (ancora) precaria di Osimhen. In pratica, quindi, al Napoli sono mancate tutte le prerogative perché questo tipo di gioco potesse essere funzionale ed efficace in fase offensiva. Una breve spiegazione per punti: senza Mertens, non c’era un elemento in grado di giocare come seconda punta/regista offensivo, perché Zielinski saprà anche intercettare/ricevere il pallone tra le linee ma tende a portarlo, a strappare, non a verticalizzare velocemente l’azione; senza Lozano, il solo Osimhen ha cercato di attaccare davvero la profondità; il ritardo fisico dell’attaccante nigeriano l’ha reso molto più debole, quindi inefficace, quando c’è stata l’occasione di scattare dietro la linea difensiva avversaria oppure quando ha dovuto difendere il pallone dall’aggressività spaventosa di Romero.

Insomma, la strategia offensiva che Gattuso ha provato a riproporre a Bergamo non ha avuto ragione d’essere. Un ultimo dato, su tutti, certifica questo fallimento: in 90′, il Napoli ha toccato solo 5 volte il pallone nell’area di rigore avversaria.

Cosa ha fatto l’Atalanta

Nel primo tempo, almeno, il Napoli ha offerto una prestazione dignitosa in difesa. L’Atalanta ha tenuto per molto tempo il pallone ma ha sbattuto più volte sulle due linee da quattro allestite da Gattuso; la squadra di Gasperini è riuscita a tentare per 5 volte la conclusione (più altri 3 tentativi respinti), però non ha mai centrato lo specchio della porta. L’idea dei bergamaschi è sempre stata quella di allargare la difesa avversaria con i giochi tra i due attaccanti e gli esterni offensivi, così da lasciare spazio al centro per gli inserimenti di Pessina e/o chiudere l’azione sul secondo palo.

Pessina che si inserisce centralmente su assist di uno degli attaccanti: vi ricorda qualcosa?

Il Napoli ha tenuto in maniera discreta, grazie a un baricentro basso (posto a 44 metri) e alla capacità di compattarsi immediatamente. Ma senza sfoghi offensivi, senza degli alleggerimenti, una strategia del genere è destinata a sgretolarsi non appena gli avversari alzano l’intensità e/o la qualità delle proprie azioni, delle proprie giocate. È così che, in avvio di secondo tempo, si è determinato il gol del vantaggio segnato da Zapata.

Tutto troppo facile.

Basta riguardare il video appena sopra per rendersi conto di cosa intendiamo quando parliamo di aumento di intensità. In questa lunga azione, l’Atalanta non ha fatto tutto bene, ma i giocatori di Gasperini hanno occupato perfettamente – anzi: viene da dire militarmente – la metà campo del Napoli, così non hanno mai perso attrito in fase offensiva. E il fatto che Zapata salti su Mário Rui è certamente un assurdo mismatc che però dipende proprio da questo atteggiamento tattico: al momento del cross di Muriel – che a sua volta ha ubriacato di finte Di Lorenzo, superandolo con una facilità estrema – ci sono quattro giocatori nerazzurri in area, più l’esterno di fascia opposta (Maehle) appostato per l’eventuale ribattuta. Difficile marcare bene in certe situazioni, e allora in quel momento Mário Rui e Zapata si sono accoppiati in maniera letale per il Napoli.

Il punto è che una difesa che deve schierare Mário Rui terzino sinistro non deve concedere questi cross dalla destra. Deve pensare, muoversi e reagire in maniera diversa. Del resto, per un certo segmento temporale Mário Rui è stato un difensore affidabile, perfettamente inserito nei meccanismi del Napoli. Non è che il portoghese sia improvvisamente diventato scarso, semplicemente non è adatto a difendere in area di rigore. Non a caso, nella stagione con Sarri e nella prima parte della gestione-Ancelotti, ha avuto un buon rendimento. Poi, in alcune partite (a cominciare da Liverpool-Napoli), la squadra azzurra ha iniziato ad andare in altre direzioni tattiche, assecondando le richieste di un organico che non poteva più giocare in quel modo. E allora ha cominciato a difendersi andando all’indietro, non più in avanti. È così che Mário Rui si è ritrovato a essere inadeguato.

La costruzione della rosa

Torniamo sempre allo stesso punto, quello che più sta a cuore all’autore di questa rubrica: la costruzione della rosa. Se Gattuso aveva e/o ha avuto in mente di costruire una squadra che si difendesse compatta nella propria metà campo e nella propria area di rigore, la società-Napoli avrebbe dovuto vendere Mário Rui. Vale a dire, un giocatore non adatto a questo tipo di impostazione tattica. Giusto per fare un parallelo: non è un caso che Alex Sandro – alto 181 centimetri – sia stato il terzino titolare della Juventus di Allegri. Ovvero una squadra che amava difendere bassa, e che perciò aveva bisogno di fisicità in tutti gli elementi del reparto arretrato.

Il caso di Mário Rui non è certo isolato. Perché se il portoghese ama toccare molte volte il pallone, giocare nelle catene di possesso sulla fascia sinistra, allora è incompatibile con molti altri suoi compagni. Meret, Maksimovic e Rrahmani, per esempio, hanno un approccio al gioco completamente differente, così come Bakayoko e Osimhen. E anche a Bergamo abbiamo visto questa assoluta incongruenza progettuale: subito dopo la rete di Zapata, Gattuso ha inserito Insigne per Elmas. E il Napoli ha ricominciato a rifugiarsi nel suo calcio di costruzione lenta e ragionata.

Tutti i palloni giocati da Insigne (nelle solite zone).

Ovviamente Lorenzo Insigne non c’entra nulla. Lui avrebbe “solo” bisogno di avere (più) compagni come Mário Rui, di duettare con giocatori che ne assecondino le qualità tecniche, quindi anche i desideri tattici. Anche Politano e Zielinski appartengono al gruppo di calciatori di possesso, ed è proprio giocando così che nasce il gol del pareggio: gran scucchiaiata dell’ex Inter dopo una lunga e buona azione di possesso condotta con la giusta intensità da parte di tutti i giocatori, a partire dai difensori. Il perfetto inserimento  di Zielinski (letto e assorbito malissimo dalla difesa dell’Atalanta, questo va detto) è il frutto di questo atteggiamento, più che una giocata estemporanea del singolo assecondata da un bellissimo passaggio.

La parte più importante e significativa dell’azione è la pressione alta di Rrahmani su Muriel, che costringe l’Atalanta a concedere rimessa laterale. Il Napoli, per giocare calcio di possesso con buona efficacia, dovrebbe difendere sempre così. Solo che non può farlo, o quantomeno non ha dimostrato di potere in maniera continuativa, almeno finora.

Il Napoli, però, è riuscito a mantenere questa intensità per pochissimi minuti. Sei, per l’esattezza. Al 58esimo è arrivato il gol di Zielinski, mentre al 64esimo un’altra azione affrontata con la difesa piatta, condizione grazie alla quale Muriel ha ricevuto il pallone nel mezzo spazio tra la terza linea e il centrocampo avversario, ha portato alla rete di Gosens.

E infatti, dopo pochi minuti gli stessi difensori che prima aggredivano altissimi si fanno trovare piatti su un passaggio che Muriel riceve tra le linee. Conduzione buona e fortunata, apertura su Zapata, chiusura puntuale di Gosens sul secondo palo.

Poi è arrivato anche il 3-1 su un errore in costruzione bassa di Bakayoko. Magari il passaggio fuori misura del centrocampista francese va considerato un infortunio indipendente dall’approccio tattico di Gattuso, ma in questo nostro spazio noi crediamo molto nel determinismo calcistico. E allora riprendiamo una frase già utilizzata pochi giorni fa, nell’analisi tattica di Granada-Napoli: «I passaggi sbagliati sono ovviamente frutto di una giocata eseguita male da parte dei giocatori, ma il lavoro sulla tattica serve proprio a dare loro soluzioni semplici che possano compensare certi difetti, a creare le condizioni affinché si sbagli il meno possibile». La nostra posizione/opinione non è cambiata. Del resto Bakayoko non è un grande organizzatore di gioco, e quindi non dovrebbe essere stato né acquistato da – né tantomeno dovrebbe essere inserito in – una squadra che vuole praticare una costruzione dal basso ambiziosa e sofisticata.

Ciò che è evidente, in tutte le partite del Napoli, è la totale incertezza rispetto al piano tattico preparato da Gattuso. Che, però, finora, è andato solo in due direzioni piuttosto confliggenti tra loro: squadra iper-verticale o primato assoluto del possesso palla. L’unica alternativa “preparata” è stata la totale passività, mascherata da ultra-difensivismo, espressa nelle ultime gare. Un atteggiamento che ha pagato i suoi dividendi solo contro Parma e Juventus, ovvero le due squadre più in difficoltà – ovviamente su livelli diversi – della Serie A.

Certo, le assenze hanno pregiudicato il lavoro specifico e intensivo su certi sistemi. Ma è vero anche che Gattuso non ha mai dato l’impressione di poter creare un ibrido, un compromesso. In pratica non ha mai affrontato questa emergenza. L’ha solo subita, sperando di limitare i danni ove possibile. Il problema è che questo approccio non ha funzionato, e non tanto contro l’Atalanta in Coppa Italia e in campionato, o anche contro il Verona; le mancanze dell’allenatore si sono rivelate in maniera enorme nelle partite contro squadre meno attrezzate, Genoa e Granada su tutte. Con due vittorie in quelle partite, il Napoli sarebbe in piena zona-Champions e a un passo dagli ottavi di finale di Europa League.

Conclusioni

Il vero crollo del Napoli non va ricercato tanto nei risultati o negli infortuni, quanto nella totale mancanza di ambizioni tattiche oltre un ristrettissimo perimetro. Un atteggiamento imperdonabile quando l’allenatore è chiamato a gestire una rosa senza una precisa identità tattico-progettuale. E il fatto che si parli di «provare a recuperare gli infortunati e impostare la settimana-tipo per lavorare in allenamento, così da recuperare punti in campionato» è davvero scandaloso: il Napoli non è l’unica squadra che ha giocato una partita ogni tre giorni da settembre a oggi, e non è l’unica squadra ad aver avuto tanti infortunati e/o diversi calciatori positivi al Covid. È successo a chiunque. Ma nessuno ha mai accolto come una buona notizia, anzi come una manna, un’eliminazione dalle coppe europee. Soprattutto se (non ancora) sopraggiunta contro un avversario di caratura modesta, per non dire mediocre, come il Granada.

Proprio perché la rosa del Napoli è assemblata in maniera illogica, proprio perché i giocatori stanno dimostrando – per l’ennesima stagione – di avere degli evidenti limiti caratteriali, al Napoli servirebbe un allenatore in grado di dare stimoli all’ambiente. Di andare oltre il valore della squadra, creando valore aggiunto con le proprie idee, teorie, intuizioni. In questo momento, Gattuso non è questo tipo di allenatore. E il fatto che il Napoli-società abbia accettato e stia accettando questo ridimensionamento – che è anche culturale, dopo anni di sperimentazione tattica – senza intervenire, è del tutto incomprensibile. È un errore ben più grave di quelli commessi nella costruzione di questa squadra.

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