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Povera Juve, costretta a sorbirsi la barzelletta di Pirlo Grande Motivatore

Ormai la luna di miele con la buona stampa è finita, e il Maestro si gioca la carta del sergente di ferro: “La squadra non mi ha capito”

Povera Juve, costretta a sorbirsi la barzelletta di Pirlo Grande Motivatore

«Pirlo, lei sembra davvero arrabbiato». E lui: «Sì, sono arrabbiatissimo». Ma non è vero: Pirlo sembra Pirlo, con la monoespressione piantata sulla faccia di uno che l’ha appena persa e non lo dà a vedere. La Juve è appena stata battuta malissimo dall’Inter, finendo così nelle retrovie della lotta al titolo. L’intervistatore, con lodevole sforzo didascalico, prova a rendere umana quella sorta di paresi mistica che il tecnico della Juve indossa sempre con classe, si tratti di festeggiare il Mondiale a Berlino o perdere il primo scudetto da nove anni a questa parte di una società condannata a vincere per slogan (“è l’unica cosa che conta”, ricordiamo).

La calata in tv a dettare lo sdegno dell’incompreso non è inedita, è una solfa che ormai gli allenatori usano alla bisogna perché si noti che loro hanno il polso fermo. Anche questa è una moda: il sergente di ferro si porta assai.

«Non siamo scesi in campo, questo atteggiamento non può capitare a una squadra come la Juve. Siamo stati troppo timorosi e in balia delle loro giocate e pensato poco a fare le nostre. non potevamo fare una partita peggiore di questa».

Poiché la maschera non tradisce emozioni, esplicita il malanimo:

«Sono arrabbiato perché in queste partite devi avere la stessa voglia e rabbia degli altri per essere sullo stesso libello, poi le qualità dei singoli vengono a parte. Non abbiamo messo cattiveria agonistica fin dall’inizio e i risultati sono questi».

Chiudendo infine col mea culpa di prassi. Più o meno:

«Il primo che sbaglia è sempre l’allenatore, mi prendo le mie responsabilità. Se la squadra non ha fatto quello che abbiamo provato, vuol dire che non aveva capito bene ciò che dovevamo fare».

Il soggetto, si badi, non è lui, il Maestro: sono gli alunni, che non capiscono. E se il luogo comune sulle sue qualità comunicative comincia a farsi vecchio (“monotono”, “noioso”… siamo quasi al face-shaming) è la sostanza che non passa più inosservata. La luna di miele con la buona stampa è finita, “Pirlolandia” non è mai esistita, e le illusioni sono sfumate.

Maurizio Crosetti, che l’anno passato ha demolito Maurizio Sarri ad ogni stento, è stato costretto a riabilitare persino lui, al confronto. Oggi su Repubblica scrive:

Pirlo non è ancora un allenatore. Quando la squadra gioca male, e contro l’Inter non ha giocato affatto, Pirlo si richiama sempre all’atteggiamento, quasi mai alla tattica, ai movimenti, alla qualità generale e individuale. Di fronte al bianconero Conte, che mai da allenatore aveva sconfitto la sua ex squadra, si è forse assistito a un possibile passaggio di consegne. Che poi una parte di vecchia Juventus, per di più in ognuna delle componenti che formano un club – panchina, campo, dirigenza – sia responsabile di quanto è appena accaduto, può sembrare allo stesso tempo simbolico e profetico”.

A noi, che da queste parti fatichiamo a digerire la retorica del Grande Motivatore Gattuso, fa un po’ specie che pure Pirlo provi a raccontarsi così. Con una tale palese mancanza di phisique du role, e di dialettica adeguata. E’ come se per contrappasso Gattuso cercasse di riciclarsi profeta del Guardiolismo invece di scrivere enciclopedie sul “veleno”, lo “stare sul pezzo” e “l’annusare il pericolo”, come pure fa quotidianamente.

Pirlo non teme deficit di credibilità, galleggia lieve sulla stagione bianconera, saltando i passi falsi, i pareggi contro Crotone e Benevento, giustificandoli come turbe di una squadra adolescente. “Siamo giovani, dobbiamo ancora crescere”, amava ripetere fino a poche settimane fa parlando della squadra che ha vinto nove scudetti di fila. Un nonsense assorbito dalla critica con una morbidezza quasi imbarazzante. La stessa che ora lo guarda impassibile e quasi gli suggerisce di fare l’incazzato: “Pirlo, ci sembra davvero arrabbiato!”. E lui lì, con la faccia di Natolia, la presentatrice dei Bulgari a Mai dire Gol quando esclamava “Rabbrividiamo!” senza nemmeno sbattere le palpebre:

Ma i nodi vengono al pettine pure quando hai l’acconciatura inscalfibile. Il salottino dei “senza giacca” di Caressa, lodando la “partita perfetta” dell’Inter, non ha potuto omettere il disastro tattico della Juve. La Gazzetta, con un tatto quasi commovente, oggi si chiede se sia davvero Pirlo il tecnico giusto per quella panchina. Damascelli, molto meno sensibile, sul Giornale scrive:

L’Inter si è tolta dalle spalle la Juventus o quello che è rimasto della squadra campione, lenta, prevedibile, con alcune scelte cocciute del suo allenatore che ha puntato ancora sul gigolò di cognome Rabiot, utile per gli allenamenti ma non per le partite vere dove si rischiano le gambe e la faccia. Il raddoppio interista ha smascherato lo sbandamento tattico juventino e l’assoluta latitanza di Pirlo nella lettura della partita, con i cambi ritardati e sbagliati. La sconfitta è la sua e di chi lo ha scelto”.

E’ questa la premessa del primo Juve-Napoli stagionale, con una coppa in palio per giunta. Dopo un Conte, Pirlo troverà un Gattuso: una specie di accademia di retorica motivazionale. Deve trovare una faccia, una qualsiasi, per rendersi credibile ai suoi giocatori. Il Maestro.

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