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Il razzismo fa schifo ma la rissa tra Lukaku e Ibra è calcio. Sporco, ma è calcio

Il giorno dopo il derby è la sfilata del conformismo: “che spettacolo offriamo ai nostri figli?”, mentre i nostri figli si insultano con gli amici giocando a Fortnite

Il razzismo fa schifo ma la rissa tra Lukaku e Ibra è calcio. Sporco, ma è calcio

Oddio e il distanziamento? Che ci fanno quei due grandi e grossi – “adulti e vaccinati” li ha definiti Pioli – che si scornano come cervi in calore in mezzo ad un asettico campo di pallone pandemico? E che diranno mai tutti i “signora mia” che solo questo aspettavano: un lampo d’indignazione da trasferire sui social e poi, come riverbero, sui quotidiani del giorno dopo? Ecco, il giorno dopo il derby è l’ovvia sfilata del conformismo: “Ibrahimovic e Lukaku si dovrebbero vergognare”, la “cavalleria rusticana“, “la rissa tra bulletti da strada“.

Il derby ha innescato la domanda fatidica: che spettacolo mostriamo ai nostri figli? Mentre i nostri figli si stavano insultando con gli amici giocando a Fortnite (o ad altro). In questi mesi hanno provato a cablare il calcio sulle nuove corde di una società scossa, a posizionarlo su traballanti piedistalli morali, a dargli un peso che non ha mai avuto ma ha la pretesa di rivendicare. E che invece è  – anche – due attaccanti maturi e massicci che fanno a capate, mettendo “le mamme in mezzo” (non si fa, lo sanno tutti).

Lo scolo razzista che pochi minuti dopo il parapiglia era già trascritto online dal labiale di Ibrahimovic, è un’altra cosa, tocca ripeterlo: fa schifo, non è di quello che parliamo. Ma il resto, quella fanfara di atteggiamenti provocatori, di spallate e occhiatacce, di tensioni nervose, di collisioni e ruggini, quello – anche quello – è calcio. E’ la sua sporcizia. E’ fisiologia dello sport da contatto. Pure se ci raccontiamo che il contatto non c’è.

Possiamo anche far finta che quella zuffa non titilli il nostro intimo voyeurismo mille volte più di una rispettosa partita tra gentiluomini. Ma è certamente più sexy il parapiglia, con un quarantenne che “aspetta fuori” il trentenne, mentre ci si gioca una qualificazione di Coppa Italia, anche se ammetterlo fa brutto. Col derby che fa il derby, vivaddio, e non finisce appiattito come un qualunque Spal-Poggibonsi.

Il calcio nell’epoca della suscettibilità è diventato una cena noiosa, coi commensali a sbadigliare mentre sparlano su Twitter dell’amico che poggia i gomiti sul tavolo. Ed è una gara a chi fa più il moralista. Ma i campi e la storia sono pieni di volgarità, piccole violenze, strategie della tensione. E’ lo spettacolo della competizione, da sempre. Appiccicarci l’etichetta del “bello” o del “brutto” in funzione della sua deriva più o meno didattica è ipocrita, semplicemente.

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