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Per Spinoza Diego Armando Maradona è Dio

Ha mostrato l’essenza del calcio, e in questo modo ha manifestato l’essenza della Natura. L’eretico filosofo non avrebbe avuto dubbi

Per Spinoza Diego Armando Maradona è Dio

“Se un triangolo potesse parlare direbbe che Dio è soprattutto triangolare”. E se il calcio potesse parlare, cosa direbbe? Se non fosse vissuto nel seicento e avesse visto le gesta di Diego Armando Maradona, Spinoza non avrebbe avuto dubbi. C’è un prima e c’è un dopo, e questo riguarda gli uomini. E c’è l’eternità, e questo sembra riguardare solo gli dei. A volte le due dimensioni coincidono, a volte un uomo segna un prima e un dopo, e ciò che accade durante è consegnato alla totalità degli uomini e del tempo. Diego Armando Maradona è stato D10S, il più umano di tutti gli dei.

L’eretico Spinoza, che identifica Dio con la Natura (“Deus sive Natura”) e che, secondo Leibniz, “è veramente ateo” ed è definito dal più famoso teologo del tempo, il giansenista Antoine Arnauld, “l’uomo più empio e più pericoloso del secolo”. Il reietto Spinoza, che viene cacciato dalla sua comunità ebraica. Il genio Spinoza, che vede nella Natura l’essenza di tutte le cose comprensibili tramite lo sguardo della ragione, ossia l’essenza di tutte le essenze. Il rivoluzionario Spinoza, che aveva disegnato uno schizzo di Masaniello: per alcuni biografi il volto non somigliava affatto a quello del pescatore amalfitano secondo i dettami dell’iconografia del tempo, piuttosto a quello di un ebreo portoghese, è probabile che il filosofo intendesse raffigurare sé stesso in nome dell’amore per la libertà. Il grande filosofo, che aveva già prefigurato tutto, anche D10S.

Per la teoria del Deus sive Natura (“Dio, ovvero, ciò che è lo stesso, la Natura”) Dio è la causa di tutte le cose, ma da una prospettiva del tutto nuova rispetto alle concezioni filosofiche precedenti. Non abbiamo a che fare con un Dio dalla barba folta e dallo sguardo severo che giudica gli uomini e decide che le cose debbano andare in un determinato modo: il Dio di Spinoza non punisce né premia, stabilendo dove stia il bene o il male. Né tantomeno crea il mondo dall’esterno come un orologiaio crea un orologio: Dio è causa interna (immanente) di ogni cosa, esattamente come la natura di un cerchio è la causa immanente della sua rotondità. Sconfessando che Dio sia ciò che dall’esterno crea il mondo, Spinoza abbraccia la tesi scandalosa che Dio è l’essenza della Natura.

Tesi meravigliosa, le cui conseguenze sono sconvolgenti. Tutto è Dio: “Tutte le cose, dico, sono in Dio e si muovono in Dio”. Proprio tutte: ogni idea, corpo, o evento, la passeggiata di ieri, la chiacchierata di stamattina, il foglio che sto tenendo in mano. Ogni fatto, bello o brutto che sia. Ogni evento, buono o cattivo che sia. Altra conseguenza scioccante, compendiata da un passo dell’Etica: “Le cose non potrebbero essere state prodotte da Dio in nessun modo o in nessun ordine differente da quello in cui di fatto esistono”. Ovvero, la relazione di Dio con il mondo si pone sullo stesso piano del rapporto tra un’essenza e le sue proprietà: come un cerchio non può decidere di non essere rotondo, così Dio non può decidere di fare le cose in modo diverso.

Questo carattere necessario della Natura si contrappone al senso di libertà che gli uomini vivono. Dalla prospettiva umana ogni cosa sembra contingente. Stamattina sono andato a piazza Dante, ma sarei potuto andare a piazza del Gesù; sono nato a Napoli a luglio, ma sarei potuto nascere a ottobre. Ma da un punto di vista divino ogni cosa è necessaria. Spinoza, in questo, è perentorio: se una pietra lanciata per aria acquisisse consapevolezza, immaginerebbe di volare liberamente. Così gli uomini. Questo determinismo non spegne la Libertà di Dio, l’opposto della libertà non è la necessità, ma la costrizione: la Libertà coincide esattamente con la capacità di agire in accordo con la propria Natura. Se Dio agisce esclusivamente per la necessità della propria Natura, Dio è assolutamente libero. E l’uomo? L’uomo è parte della Natura, e in quanto sua articolazione non può che seguire le sue leggi: c’è un solo regno, e l’uomo vi appartiene allo stesso titolo di pietre, eruzioni vulcaniche o balene.

Alcuni eventi o esperienze sembrano però segnare i confini della Natura: le esperienze artistiche, le creazioni musicali, la scrittura letteraria, i versi di un poeta, le grandi costruzioni di conoscenza (politica, filosofica e scientifica) sembrano provenire da un altro pianeta. Le gesta atletiche, a volte e in precise circostanze, in modo magnifico. Forse questa straordinarietà va collocata in una diversa cornice: deriva certamente dalla capacità di dettare le regole (secondo la prospettiva kantiana), ma il genio, quando irrompe nell’ordine della storia, si palesa affinché la Natura stessa possa esprimere la sua essenza ultima. E quando accade, quando il genio mostra la Natura per quello che è, sembra che la Natura – l’essenza ultima di tutte le essenze – si sveli per la prima volta. La prima alba del primo uomo sulla terra.

Diego Armando Maradona ha mostrato l’essenza del calcio, e in questo modo ha manifestato l’essenza della Natura. Come ogni cosa umana D10S è legato a un certo tempo e a certi luoghi, molti articoli hanno evidenziato i ricordi personali, il riscatto umano e politico, le gesta di pura bellezza (tra gli altri, si vedano gli interventi di Massimiliano Gallo, Stefano Salis, Oriana Scarpati). Il secondo goal all’Inghilterra ai mondiali dell’86: pochi interminabili secondi che scandiscono il tempo dell’eternità e della necessità, l’esperienza che più si avvicina a ciò che non sembra appartenere a questo mondo e che, proprio per questa ragione, lo disvela. Barrilete cosmico, de que planeta viniste? Solo con un verso poetico il telecronista uruguaiano Victor Hugo Morales – sbarcato a Buenos Aires nel 1981, la cui prima radiocronaca argentina fu proprio per il debutto di Maradona al Boca Juniors – poteva descrivere la meraviglia di quel goal.

A centrocampo D10S va incontro alla palla che proviene da dietro, si gira con una specie di piroetta e va avanti verso la porta avversaria. È un passo di danza, è l’inizio di tutto: “la tocca per Diego, ecco, ce l’ha Maradona (“…la va a tocar para Diego, ahí la tiene Maradona”). “Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale” (“lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial”) (“y deja el tendal” – espressione idiomatica per dire che lascia lì i marcatori). D10S scivola sull’ala destra, e con lui la palla che lancia in avanti per due volte e per due volte torna al suo piede come attaccata a un elastico: se si potesse misurare, sarebbe la stessa lunghezza. Quando riprende la palla per la seconda volta, fa un piccolo salto, leggerissimo, per accarezzarla, è come se l’aria accarezzasse l’acqua. Poi si apre una possibilità: “Può toccarla per Burruchaga” (“y va a tocar para Burruchaga”), ma subito si chiude: “è sempre Maradona” (“¡Siempre Maradona!”). Il genio che rompe le regole (prima la mano di D1OS le ha violate su un altro piano): dovrebbe passare la palla a Burruchaga, ma D10S s’incunea tra due giocatori ed entra in area di rigore: “¡Genio! ¡Genio! ¡Genio!”. Lo stupore diventa così smisurato che solo un ritmo musicale può descrivere un’emozione che corre così veloce e forte: “ta-ta-ta-ta-ta-ta”. Preludio all’esplosione piena: “Goooooool, Gooooool!”. Alla constatazione di qualcosa di eccezionale: “voglio piangere…Dio Santo, viva il calcio. Diegoooooooo! Maradona! C’è da piangere, scusatemi” (“¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol! ¡Golaaaaaaazooooooo! ¡Diegooooooool! ¡Maradona! Es para llorar, perdónenme”). La sorpresa di una corsa memorabile e l’incredulità di aver assistito alla giocata migliore di tutti i tempi (“Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos”) richiedono un verso poetico: “aquilone cosmico, da che pianeta sei venuto? Per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Perché il paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina? (“barrilete cósmico… ¿de qué planeta viniste? ¡Para dejar en el camino a tanto inglés! ¡Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina!”). Aquilone cosmico. “Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 – Inglaterra 0”.

Grazie Dio per il calcio, per Maradona. Tutto è Dio. Un’unica sostanza che esprime infinite cose: il calcio, il passo di danza da centrocampo, il salto leggerissimo sull’ala destra, la musica e il suo ritmo nell’aria di rigore, il goal, l’emozione, queste lacrime. Tutto è Natura. Diego Armando Maradona ha mostrato le trame che connettono entità diverse: ha svelato l’essenza della carezza, della danza, del ritmo, del pallone, della poesia. E ha svelato l’essenza del calcio, ciò che gli è necessario: come un cerchio non può decidere di non essere rotondo, l’essenza del calcio non può non essere che Diego Armando Maradona. La libertà di D10S ha coinciso esattamente con la sua capacità di agire secondo la propria Natura. Dentro e fuori il campo, del resto: non c’è mai stata differenza tra realtà e apparenza in Diego Armando Maradona. (Si vedano quelle che sembrano essere le ultime immagini girate in cui arranca dolorante, ma comunque risponde a un saluto di un bimbo. Ottavio Bianchi all’indomani della sua scomparsa ha detto: “Quando pioveva si buttava nelle pozzanghere con il pallone come fanno i bambini. Diego aveva l’ingenuità e la gioia dei bambini”).

Così facendo, ha restituito la totalità delle cose e del tempo nella loro connessione. Quel goal ha donato da subito la precisa sensazione che tutto ciò non riguardasse solo una giocata, un goal o una partita di pallone, ma l’intreccio di tutte le cose e di tutte le vite, compresa la mia. Ho vissuto sulla mia pelle diverse volte questa sensazione di appartenenza a una totalità, una su tutte: 3 novembre 1985, settore distinti insieme a mio padre, Napoli-Juventus 1-0. Da quel momento sappiamo cos’è l’essenza della pioggia, del freddo delle gradinate di marmo, del sapore del caffè Borghetti, di un campo fangoso, della parabola che può assumere un pallone, del tuffo disperato di un portiere. L’essenza di una punizione, ciò che gli è necessario: “Tanto segno comunque”. Ce ne andammo da quello stadio increduli e uniti in un solo gigantesco corpo, che era stato allo stesso tempo pioggia, marmo, fango, palla, parabola. Come se fossimo noi quell’enorme aquilone che veniva da un altro mondo, volando per la prima volta sul mare di Napoli. Avevamo riconosciuto l’essenza del calcio, ci eravamo riconosciuti parte di un tutto. Che privilegio esserci stati.

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