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Dal “peso del cuore” alla stanza senza cesso, per Maradona è già il giorno dello sciacallo

A pochi giorni dalla morte l’epica di dio e l’autopsia pruriginosa vanno di pari passo, s’accavallano i toni: ma non possiamo farne a meno. Vogliamo sapere tutto per non lasciarlo andare

Dal “peso del cuore” alla stanza senza cesso, per Maradona è già il giorno dello sciacallo

Un giovane editorialista del Guardian che Maradona l’ha conosciuto sbirciandolo a spezzoni su Youtube non riesce a concepire che in Inghilterra, dopo appena 5 giorni di retorica luttuosa, già non se ne parli più. “Datemene ancora” – scrive – “find me a criminal angle”, qualsiasi cosa: possibile che un evento così enorme come la morte del più grande giocatore dei tutti i tempi finisca “semplicemente consumato, digerito, ed espulso” (“excrete”, in inglese, è un verbo molto intestinale)?

No, non è possibile. E infatti, perbenismo anglosassone a parte, il resto del mondo è andato avanti a suo modo: sta dissezionando il decesso dell’uomo e del mito distillando i particolari macabri, persino scabrosi. Abbiamo appreso quanto pesava il cuore (il doppio del normale, che faccio, lascio?), abbiamo le foto della casa senza cesso, una specie di catapecchia che si fa una certa difficoltà ad accostare alla fine di una tale rockstar. E’ spuntato il diario della badante, e così sappiamo che ha mangiato una pizza per ultima cena. Siamo al riconteggio dei figli come una Pennsylvania qualunque: ad alcuni manca il dna, e come si fa?

L’immediata e succulenta zuffa per l’eredità è persino un cliché in casi come questo: non c’è star al mondo che non abbia lasciato in dote all’informazione patinata il codazzo di parentame interessato, caveau segreti, ripicche tra mogli presenti e passate. Figurarsi Maradona, che certe cose non se l’è fatte mancare nemmeno in vita, galleggiando sugli scandali, convivendoci, soffrendone e ricadendoci più e più volte.

La gente vuole sapere, è curiosa, e il giornalismo funziona anche per questo: dare notizie, il più possibile, si spera con qualche fondamento, a rischio di precipitare nel voyeurismo. Domanda, offerta: non ci scandalizziamo.

Ma nel caso di Maradona registriamo l’immediato scollamento tra l’epica di dio e l’autopsia pruriginosa. S’accavallano i toni. Il dolore composto e le urla isteriche, le veglie e le risse ai funerali, i ricordi gentili e i protagonismi patologici. E’ un’escalation di “gialli”, “casi”, “scandali”: la minuzia si gonfia, e poche ore dopo stiamo spolliciando su Twitter la gallery dell’ultima stanza. “Qui è morto Diego”, prima per testi, poi per immagini. Nell’impossibilità di riportare l’odore del materasso, l’intensità dell’ultimo afflato, la puzza di quel maledetto bagno chimico.

Per chi l’ha amato – e in questi giorni il conto è facile, sono circa 7 miliardi meno Mughini, Cruciani e Laura Pausini – questa esposizione totale, spesso con poco garbo, è difficile da processare. Non possiamo fare a meno di sapere: VOGLIAMO sapere. Ma dobbiamo fare i conti col pudore, il nostro e quello altrui.

Nella riduzione del concetto, questo è un lunghissimo funerale nel quale per rispetto dovremmo osservare un silenzio esemplare e invece si finisce tutti ad applaudire, a fare i cori, a cantare senza sosta. Per tenerlo in vita, sotto sotto è quello. “Find me a criminal angle”, un dettaglio anche schifoso per tenerci indignati, incazzati, attaccati alla sua morte. Per non lasciarlo andare, nel bene e nel male. E persino nel peggio.

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