Barnes: «Per anni abbiamo lottato per farci chiamare “neri”, e ora ci offendiamo se lo fanno?»
L'ex nazionale inglese è un'icona della lotta al razzismo, e sul Telegraph difende gli arbitri romeni di PSG-Basaksehir: "Se dovessimo lasciare il campo per un "negru" non finiremmo una sola partita"

“Sono contento che Valentin Negru, il calciatore rumeno, non fosse in campo in PSG-Basaksehir. Forse la sola menzione del suo cognome sarebbe stata sufficiente a provocare l’uscita dal campo dei giocatori”.
Questa non è la provocazione di un ignoto sovranista bianco su un social qualunque. È l’attacco del pezzo di John Barnes sul Daily Telegraph, nel quale spiega nel dettaglio la sua opinione controcorrente sul presunto razzismo del quarto uomo del match di Champions poi sospeso e ripreso il giorno dopo tra le polemiche.
John Barnes non è uno qualunque. È sì l’ex star della nazionale inglese e del Liverpool, ma è anche un’icona dell’anti-razzismo, una personalità di spicco nella lotta alle discriminazioni. La foto – famosissima – di lui che scalcia una buccia di banana fuori dal campo, dopo che gli era stata lanciata durante una partita contro l’Everton, nel 1988, è uno dei primi simboli della mobilitazione nel mondo del calcio.
Eppure la levata di scudi indignata contro Coltescu, sbattuto come un mostro su tutte le prime pagine mondiali, per quel “negru” pronunciato per indicare un giocatore nero della panchina del Basaksehir proprio non lo convince. Lo ha scritto su Twitter e si è ritrovato coinvolto in una zuffa social con gente ignota che lo accusava di – a lui! – di essere un razzista. Per cui sull’autorevole quotidiano inglese torna sull’argomento, con più calma.
Riassume i fatti, che ormai conoscono tutti. Spiega che per lui il comportamento degli arbitri non è stato affatto razzista. E poi sottolinea il suo punto di vista:
“No biasimo i giocatori. Ma io non credo nell’andarsene da campo, come risposta. Quando c’è un fatto evidente di razzismo, è abbastanza semplice. Ma quando accadono cose come questa o quella che coinvolse Antonio Rudiger un anno fa, quando pensava di aver sentito i tifosi urlare cose razziste contro di lui, dovresti lasciare il campo ogni partita“.
“Immaginate se martedì ci fossero stati dei tifosi, uno dei quali ha pagato centinaia di sterline per viaggiare da Istanbul a Parigi con i suoi due figli, e la partita fosse stata rinviata perché il quarto ufficiale ha detto all’arbitro: “Il ragazzo nero”. Da anni cerchiamo di essere identificati come ‘neri’ e non ‘coloured’. Poi, quando siamo chiamati neri in un modo semplice e descrittivo, non offensivo, ci lamentiamo”.
“Tutto ciò è avallato da quella che io chiamo un’élite nera, che la società bianca lascia decidere ciò che è razzista e ciò che non lo è”. Per Barnes non è il “sacrificio” di persone insignificanti che cambierà le cose:
“Sono l’establishment, le istituzioni, i mediatori del potere il vero motivo per cui le cose rimangono le stesse. L’élite nera li aiuta a sacrificare alcune persone insignificanti che non influenzano il razzismo insidioso sistemico, che colpisce il 99% della comunità nera”.
“Circa 25 anni fa, in Champions League, hanno introdotto il messaggio “Dì no al razzismo”, e alcuni giocatori non sapevano nemmeno cosa stavano dicendo perché non parlavano inglese. Sono passati anni e nulla è cambiato. Ora ci inginocchiamo, ma non ha alcun impatto“.
“Il calcio continuerà a fare quello che fa, magari coi giocatori che si inginocchiano. Ma, come per i messaggi di 25 anni fa che non hanno cambiato nulla, avranno lo stesso impatto: nessuno”