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Teniamoci i quattro gol alla Roma, senza ricamare troppo sull’afflato argentino

La vittoria è un’ottima notizia. Ma, come insegna il 4-1 all’Atalanta, ogni partita è una storia a sé. Rimane una squadra con limiti psicologici evidenti

Teniamoci i quattro gol alla Roma, senza ricamare troppo sull’afflato argentino

Sebbene in questi giorni non appaia una attività particolarmente popolare, potrebbe giovare un po’ di cautela nel calcare troppo la mano sull’afflato argentino che domenica sera si sarebbe manifestato sullo stadio già San Paolo. In parte perché, per i ragazzi che giocano oggi, Maradona è un calciatore di cui si è arrivati a conoscenza guardando qualche streaming su YouTube (neanche un DVD, lasciamo perdere i preistorici VHS), in altra parte perché è sempre sano evitare di far girare il mondo attorno alla testa e il cuore di noi sopra i quaranta, tingendo la realtà di sfumature e colori che abitano più che altro quasi esclusivamente nei nostri occhi.

Il Napoli ha vinto, con nettissimo merito, una partita che ha mostrato una natura un po’ strana. L’avversario sceso in campo, imbattuto in campionato, è stato, a voler essere gentili, ectoplasmatico, per ragioni che vanno certamente al di là dei meriti degli azzurri. Con tutto il ragionevole ottimismo, è un po’ allarmante che le menti di noi, attempati adulti sulla soglia dei cinquanta, possano trovare una analogia metafisica tra il dribbling dell’ex capitano argentino e lo slalom di Politano tra un nugolo di difensori giallorossi, trasformatisi per l’occasione in decorativi alberi di Natale.

Ogni match ha una storia a sé, dovrebbe avercelo insegnato il 4-1 casalingo con l’Atalanta – a maggior ragione di questi tempi unici e strani. Capita assai di rado che una squadra cambi, sostanzialmente e nell’arco di poche ore, la propria caratteristica di gioco ed il Napoli, a prestare un po’ di attenzione, non pare abbia fatto eccezione. La partita l’ha sbloccata un primo colpo sopraffino e l’ha sigillata una seconda rete di precisione, a dimostrazione che a discutere le metamorfosi dei moduli si continua a guardare il dito mentre la luna sono i giocatori e, almeno fino a quando questo sport rimarrà tale, a domarlo saranno sempre e solo coloro che la palla sanno addomesticarla. A tal proposito, fanno sorridere le critiche che ormai con cadenza regolare piovono su Fabian Ruiz, reo di essere apprezzato in Spagna ma risultare poco incisivo in Italia: se gli iberici, che qualcosina sul campo di gioco l’hanno detta nell’ultimo decennio, lo ritengono un giocatore di grande valore, è probabile che un motivo ci sia e qualche timore di essere nel torto dovrebbe indurcelo. È difficile capirlo per noi, che tutto l’universo abbiamo nella nostra testa e immediatamente percepiamo gli afflati. 

Il tema, con buona pace delle scienze calcistiche, rimane quello degli uomini. Quelli, infatti, esistono oppure no, senza alcuna terza via. La palla la sanno toccare o no, con pochissime sfumature disponibili nel mezzo. Sinora, in questa stagione e su questo tema, il Napoli si è posizionato costantemente sul filo della scelta, effettiva e psicologica. È una squadra che, giocoforza, deve spesso creare massa critica e tecnica con i suoi senatori per limitare al massimo l’innesto dei nuovi – Petagna e Lobotka in una sola mossa sono stati un colpo difficile da gestire anche per i più bendisposti. È anche una squadra che ha un limite psicologico evidente, fatto di posti fissi e sicuri, forse a tutelare gli inevitabili equilibri interni, ed altri costantemente temporanei e precari – ci sono ormai centri astronomici che non usano più gli orologi atomici per regolare l’ora ma si allineano sul minuto in cui Gattuso cambia Lozano nel secondo tempo.

La vittoria è un’ottima notizia, una crisi ballerina allontanata a colpi di quattro reti lo è ancora migliore. Teniamoci queste. Per i romanzi, bastano le pagine ancora da scrivere sui protocolli e le ASL.

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