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Il progetto tattico del Napoli è arrivato a un punto di stallo

Il Napoli è diventato prevedibile. Quando deve comandare la partita e poi vincerla, va sempre in difficoltà. Il momento buio di Mertens riflette quello della squadra

Il progetto tattico del Napoli è arrivato a un punto di stallo

Un Napoli (a dir poco) imbarazzante

Nella conferenza stampa postpartita, a Fiume, Gattuso ha utilizzato l’aggettivo «imbarazzante» per descrivere la prestazione del Napoli per buona parte della sfida contro il Rijeka. Ha perfettamente ragione, anzi questa definizione è stata addirittura riduttiva rispetto a quanto mostrato dalla squadra azzurra fino a due eventi chiave: l’uscita di Robert Muric per infortunio e il gol di Demme. Perché abbiamo scelto questi due momenti? Perché la sostituzione di Muric ha privato il Rijeka la qualità che aveva determinato il gol del vantaggio, ha tolto alla squadra croata la possibilità di risalire il campo con un minimo di proprietà tecnica. Il gol di Demme, invece, è stato decisivo per il timing, perché è arrivato prima dell’intervallo, perché ha certificato la fine della partita tattica del Rijeka, che da lì in poi ha iniziato solo a difendersi, in purezza.

Il gol di Demme, oltre al significato relativo al Rijeka, è stato anche il primo momento di normalità del Napoli. E per normalità intendiamo che si è manifestata per la prima volta una squadra in grado di cambiare ritmo, di creare – e sfruttare – un diversivo tattico individuale volto a forzare il sistema difensivo degli avversari. Ma di questo parleremo più avanti, perché la cosa fondamentale è capire quali sono stati i problemi mostrati dal Napoli in un primo tempo davvero da incubo.

L’equivoco nel doble pivote

Cominciamo dalle scelte di Gattuso. Per turn over, per sperimentazione, o forse anche per sottovalutazione dell’avversario, il tecnico del Napoli ha schierato una formazione inedita: difesa a quattro con Di Lorenzo, Maksimovic, Koulibaly e Mário Rui; doble pivote composto da Lobotka e Demme; Elmas largo a sinistra, Politano sull’altra fascia; Mertens sottopunta, libero di agire qualche metro alle spalle di Petagna.

In alto, la  mappa dei 122 palloni giocati da Demme e Lobotka nel primo tempo. Sopra, il campetto posizionale dei 58 tocchi di Fabián Ruiz nella mezz’ora giocata nella ripresa.

Già rileggendo i nomi in sequenza, si percepiscono un paio di incongruenze di fondo. La prima riguarda l’adattabilità al modulo: se il 4-2-3-1 è stato “inventato” perché il Napoli potesse giocare in verticale, per aprire lo spazio a Osimhen, è difficile pensare che questo stesso sistema possa essere efficace senza un solo attaccante in grado di attaccare la profondità. A maggior ragione contro una squadra estremamente difensiva, schierata con le linee di difesa e centrocampo estremamente ravvicinate.

L’altra grande stranezza riguarda il doble pivote: Demme e Lobotka sono stati acquistati, a gennaio 2020, per giocare nel ruolo di centromediano della difesa nel modulo 4-3-3/4-5-1. Quel 4-3-3/4-5-1, tra l’altro, avrebbe dovuto portare il Napoli a praticare un calcio di possesso, orizzontale, non diretto. Oggi le cose sono cambiate, il Napoli da qualche tempo studia per essere verticale, gioca in questo modo. Eppure Gattuso ha schierato questi due calciatori davanti alla difesa. Come si vede nel campetto in alto, la loro mobilità è stata estremamente ridotta, entrambi si sono limitati a occupare la propria zona e a riflettere letteralmente il pallone come se fossero dei muri. Senza guizzi, senza una sola giocata creativa – e infatti hanno chiuso la partita con 0 passaggi chiave.

La differenza con Fabián Ruiz è evidente, e basta guardare la mappa dei palloni giocati dallo spagnolo per rendersene conto. È una questione di qualità, intesa come valore assoluto ma anche come caratteristiche tecniche: l’andaluso non è solo più bravo di Demme e Lobotka, ma è anche un giocatore geneticamente portato per giocare in un centrocampo a due. Si muove per ricevere il pallone, lo lavora e/o lo smista. A volte, quando può, cerca di far progredire la manovra andando oltre il semplice passaggio sugli esterni, oltre l’appoggio all’esterno che viene in campo.

Alla fine è anche un bel gol, rivedendolo ora.

In occasione del gol di Muric, il problema di Demme e Lobotka non è solo il rientro tardivo (soprattutto dello slovacco). Ciò che non va – e non è andato in tutta la loro partita – succede dall’altra parte del campo, quando Mertens perde palla. La loro lentezza e la conseguente lentezza della manovra del Napoli hanno costretto molti giocatori ad accompagnare l’azione, a cercare di creare linee di passaggio complicate dentro e dietro i reparti di una squadra tutta racchiusa in pochissimi metri. In queste condizioni, per gli azzurri è stato impossibile reagire a una transizione orchestrata bene e conclusa meglio, con una gran conclusione a giro di Muric.

In questo spazio abbiamo sempre evidenziato la connessione strettissima, inevitabile nel calcio moderno, che esiste tra le varie fasi di gioco. E questo video è una conferma di questa visione: il Napoli ha subito il gol del Rijeka perché ha attaccato male. Perché ha attaccato lentamente. Il problema difensivo palesato dagli azzurri in Croazia nasce dalle difficoltà offensive, da una gestione pessima della transizione negativa. Certo, il Rijeka ha avuto il merito di ripartire bene, in verticale, mostrando pure una buona qualità – almeno fino all’uscita di Muric. Ma è stato soprattutto un demerito del Napoli, della squadra prevedibile che abbiamo visto fino alla fine del primo tempo.

Il gol di Demme

Dopo, sono successe delle cose che hanno cambiato l’inerzia della gara: l’energia fisica e mentale che ha sostenuto il piano partita dei croati è venuta meno. E poi la squadra di Gattuso ha iniziato ad accelerare un po’. Nemmeno tanto, in verità.

Quel poco è bastato per trovare il pareggio. L’accelerazione del Napoli, però, non è stata fisica, almeno non solo. Si è trattato di un cambio di passo mentale che è diventato tattico. Basta guardare come parte l’azione che finisce con il tocco sotto porta di Demme. La difesa del Rijeka è schierata, il Napoli muove la palla più velocemente e su direttrici nuove, diverse rispetto a quelle che abbiamo visto nel primo tempo: Elmas è larghissimo sulla sinistra, Mário Rui si sovrappone esternamente e Mertens viene a prendersi il pallone in quella zona, vicino alla fascia; mentre il cross del belga viaggia verso l’area di rigore, Elmas e Demme attaccano la porta; il pallone schizza come in un flipper, viene toccato da tutti e poi finisce a Mertens; Demme ha lasciato la sua comfort zone, per fortuna. E per fortuna, ma non a caso, trova il gol.

Un gol che sembra poco tattico, casuale. Ma in realtà non è così.

Il modulo 4-2-3-1 in fase offensiva si può interpretare in tanti modi diversi. Non per forza deve essere costruito e attuato per giocare in verticale, come prova a fare il Napoli quando c’è Osimhen. Quando è utilizzato o deve essere utilizzato come sistema di possesso, il ruolo fondamentale per rendere imprevedibile la fase offensiva è quello del trequartista, o sottopunta. Dries Mertens, nel caso del Napoli. In certe partite, il belga dovrebbe essere l’uomo che detta i tempi e i movimenti nell’ultimo terzo di campo, che dovrebbe muoversi per creare superiorità in zona palla, che dovrebbe fare la differenza in positivo.

In occasione del gol di Demme succede proprio questo, ma nel corso del primo tempo non è successo mai. Infatti, l’assist per il gol del centrocampista tedesco è l’unico passaggio chiave servito da Dries nella prima frazione di gioco. Nella ripresa, quando la partita ha perso ogni tipo di perimetro tattico coerente, i passaggi chiave di Mertens sono stati addirittura 4.

Il Napoli e i suoi problemi in avanti

Il rendimento altalenante di Mertens nel suo nuovo ruolo, però, va letto nel modo giusto. È causa ma soprattutto conseguenza, anzi si può dire sia la spia di un problema più profondo. Il momento buio di Mertens non dipende solo da un adattamento complicato alla nuova posizione, ma anche dalle difficoltà (evidenti) del Napoli in fase offensiva in alcune partite. La pessima prestazione offerta in attacco contro il Rijeka nasce sicuramente da un approccio mentale blando alla gara, ma anche dagli equivoci che questa squadra si trascina ormai da tre settimane. Problemi che riguardano la prevedibilità contro avversari che si difendono bene e con molti uomini, e che si sono manifestati con Osimhen in campo, così come senza di lui.

Quando deve comandare la partita e poi vincerla, insomma, il Napoli va sempre in difficoltà. Perché certi sistemi sanno togliere profondità, spazio e quindi l’aria a Osimhen; e perché senza Osimhen che allunga la squadra, e che quindi prova a rendere dirette e verticali le manovre offensive, l’unica alternativa resta il gioco sulle fasce. Un gioco che, soprattutto contro il Rijeka, è stato lento, monocorde e perciò senza sbocchi, nonostante la presenza di una punta pura come Petagna in area di rigore. Il Napoli ha costruito infatti il 76% delle sue azioni sulle fasce laterali, e ha tentato per 32 volte il cross; 20 di questi tentativi sono arrivati nel primo tempo.

In alto, la mappa dei 22 palloni giocati da Petagna nella gara contro il Rijeka (il Napoli attacca da destra verso sinistra); sopra, invece, tutti i tocchi di Osimhen contro l’Atalanta. La differenza è evidente.

Come si vede da queste immagini sopra, Petagna e Osimhen sono due attaccanti estremamente diversi. Quasi complementari, viene da dire. L’avevamo già scritto nell’analisi tattica di Real Sociedad-Napoli: Petagna non allunga la squadra, piuttosto tende ad accorciarla; quando si muove per “chiamare” il passaggio ai compagni, preferisce ricevere il pallone sui piedi (o sulla figura) piuttosto che sulla corsa; in una gara come quella contro il Rijeka, in cui il Napoli non poteva aver bisogno di attaccare in transizione, ha occupato sempre gli stessi spazi in fase di costruzione e poi è andato a riempire l’area.

Petagna, quindi, è risultato essere sostanzialmente inutile fin quando il possesso del Napoli è stato lento, fin quando i cross arrivavano solo da situazione statica, con la difesa schierata, e allora c’erano due o tre uomini tutti contro di lui. Certo, contro il Rijeka, Gattuso poteva schierare solo l’ex Spal, Osimhen era squalificato. Ma il nigeriano avrebbe avuto gli stessi problemi, declinati in maniera diversa: con il Rijeka tutto schiacciato dietro, senza profondità da attaccare, il Napoli avrebbe continuato a sbattere sul muro. Come contro l’AZ Alkmaar, come nel primo tempo di Benevento, come contro il Sassuolo.

Insomma, il Napoli ha dei problemi. E sono pure evidenti. Come detto, Gattuso non ha scelto la formazione migliore per la gara di Fiume: Demme-Lobotka non può essere il doble pivote giusto se la pericolosità offensiva passa da una manovra necessariamente creativo, o comunque veloce; lo stesso discorso vale per Elmas nello slot di Insigne (o Lozano).  Al di là della gara in Croazia, però, la sensazione “generale” è che il progetto tattico del Napoli sia arrivato a un punto di stallo, per via di un di un sistema di gioco “ideale” che cozza ancora con la composizione della rosa, completa a livello numerico ma piuttosto eterogenea per quanto riguarda le caratteristiche tecnico-tattiche dei giocatori.

Un’azione semplice, o semplicemente veloce

La partita di Fiume alla fine è stata vinta perché la qualità della squadra di Gattuso era troppo più alta di quella degli avversari. Gli ingressi di Fabián Ruiz e Insigne per dare al Napoli il tocco di vivacità che serviva per segnare un gol. E per creare almeno (altre) tre o quattro palle gol nitide. Basta riguardare il video appena sopra, le posizioni e le giocate degli azzurri nell’azione della rete decisiva – in realtà un’autorete di Braut – per capire di cosa stiamo parlando: Fabián Ruiz è più avanzato di Demme, “chiama” e chiude il triangolo con Mário Rui mentre Insigne si muove nel mezzo spazio; in area, ad attaccare il lato debole, ci sono Petagna e Politano. Con due passaggi rapidi, veloci, il Napoli arriva sul fondo e trova la via del gol. Pure abbastanza facilmente

Conclusioni

In questo momento, anzi fin dall’inizio di questa stagione, Gattuso sta insistendo sul 4-2-3-1/4-4-2. E su principi di gioco diretti, verticali. Probabilmente è il modulo migliore per esaltare le doti di Osimhen e Lozano, che in alcune partite può rendere letale Mertens in fase di rifinitura, ma che in altre gare ha bisogno di esprimersi in un altro modo. Attraverso una qualità e una velocità nel possesso palla che il Napoli, al momento, non possiede. Si è visto chiaramente in Croazia, contro il Rijeka. Ma si è visto anche nelle gare dell’ultimo periodo.

È da qui che deve (ri)partire il lavoro di Gattuso. Dalla costruzione di alternative valide quando la partita si mette male, dal punto di vista tattico e/o del risultato. Il tecnico calabrese ha già tolto il Napoli dalla sua (presunta) comfort zone, ha cancellato l’idea per cui gli azzurri potessero e dovessero giocare solo con un possesso palla ricercato, sofisticato, ovviamente con il 4-3-3. Allo stesso modo, però, ora non deve commettere l’errore di pensare che la sua ricerca debba fermarsi qui, che il Napoli possa e debba essere solo quello visto contro l’Atalanta o il Genoa. E che non ha potuto essere contro il Rijeka.

Il problema è che la rosa di Gattuso è ibrida, e allora anche il gioco della sua squadra deve esserlo. Ci saranno partite in cui si potrà giocare tutto su Osimhen, ma ce ne saranno altre in cui sarà importante servire bene Petagna, altre ancora in cui sarà fondamentale muovere la difesa avversaria con un possesso rapido e fantasioso. Il Napoli non può permettersi di fermarsi, deve essere una squadra tatticamente completa, o comunque camaleontica, se vuole sfruttare le ottime potenzialità del suo organico. Sarà difficile, ma Gattuso ha già fatto questo percorso tattico e culturale. Dovrà rifarlo ancora e ancora, semplicemente.

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