Ci sono club che hanno violato la bolla, non il Napoli. Zielinski ed Elmas furono i primi e unici positivi, ovvio chiamare la Asl per sapere cosa fare
Il Napoli non ha nulla da temere dalla parallela indagine della Federcalcio sull’applicazione del protocollo. A Castel Volturno sono sereni anche dopo la pubblicazione, da parte di Repubblica, della notizia di un possibile deferimento alla Procura federale. Il club ritiene le due questioni distinte e separate. Da un lato c’è la sentenza d’appello del presidente Sandulli che ha ribadito quanto stabilito dal giudice sportivo in primo grado e cioè la sconfitta 3-0 a tavolino e un punto di penalizzazione. Dall’altro, i controlli relativi al rispetto del protocollo, le visite degli ispettori a Castel Volturno per accertarsi che il Napoli seguisse l’iter stabilito.
Gli ispettori della Figc hanno visitato il centro sportivo del Napoli proprio in quei giorni, in seguito alle positività di Zielinski ed Elmas. Che, è importante sottolinearlo, sono stati gli unici due calciatori del Napoli colpiti dal Covid-19. Non ce ne sono stati prima. Non ce ne sono stati dopo. Già nel primo lockdown il club, a differenza di altre società, il Napoli si distinse per aver tenuto tutti i suoi calciatori stranieri a Napoli. Nessuno partì. E nessuno ha mai disobbedito ai provvedimenti delle Asl, come invece – ad esempio – accaduto alla Juventus e alla Fiorentina. Da questo punto di vista il Napoli si sente in una botte di ferro. Ha sempre rispettato le regole. Se il club azzurro dovesse essere accusato di non aver rispettato il protocollo, non osa immaginare che cosa accadrebbe ad altre squadre.
È proprio perché Zielinski ed Elmas furono i primi (e unici) casi di Covid-19 tra i tesserati, che il Napoli chiamò l’Asl. E qui il rispetto del protocollo si intreccia con la sentenza d’appello di Sandulli.
Nel suo provvedimento, violentissimo, il presidente della Corte d’appello ha scritto che il Napoli ha cercato un alibi per non andare a giocare a Torino. In realtà il Napoli chiamò la Asl per sapere come comportarsi perché era una situazione completamente nuova per il club. Il venerdì, dopo la positività di Zielinski (Elmas fu accertato il sabato), il Napoli chiese come comportarsi. Come peraltro fatto da tante altre squadre di Serie A.
Quel che non traspare dal provvedimento di Sandulli è il clima di quei giorni. La vicenda Juventus-Napoli è poco comprensibile se dimentichiamo i sedici positivi del Genoa che la domenica precedente aveva giocato al San Paolo. Erano giorni particolari in cui si cominciava a capire che la seconda ondata era una realtà, c’era il concreto pericolo di trasmissione del contagio a Torino. Quel che Sandulli definisce strenua ricerca dell’albi, è invece un comportamento del tutto logico: chiamare l’autorità sanitaria locale per capire come comportarsi. A maggior ragione visto che erano i primi casi di coronavirus nel gruppo squadra.
Resterebbe un’altra domanda, ma qui già entriamo nel campo delle supposizioni, e cioè perché il Napoli non avrebbe voluto giocare la partita con la Juventus. Quel che potremmo definire il movente. Sandulli non ne accenna. Così come non accenna alle dichiarazioni rilasciate da Andrea Agnelli a proposito di un sms (o un whatsapp) con cui il presidente De Laurentiis avrebbe proposto un accordo per il rinvio. La risposta, non esplicitata nella sentenza, è che il Napoli avrebbe affrontato la partita senza i due positivi – Zielinski ed Elmas appunto – più l’infortunato Insigne. Qualsiasi appassionato di calcio, forse persino qualche juventino, potrebbe spiegare che si tratta di assenze con cui il Napoli avrebbe potuto serenamente convivere. Come peraltro ha fatto, battendo 4-1 l’Atalanta.
Resta l’ultimo aspetto della vicenda. Che è tutt’altro che trascurabile. Non sono affatto pochi coloro i quali hanno interpretato il provvedimento di Sandulli come una sorta di avvertimento al Napoli. Una lettura che conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che la questione va interpretata in chiave esclusivamente politica. Sia per i meccanismi di campagna elettorale Figc che ha perfettamente spiegato Guido Ruotolo sul Napolista. Sia per i cosiddetti equilibri di Palazzo, con Aurelio De Laurentiis che viene percepito come scomodo nel suo perenne ruolo di battitore libero. E la cui posizione ultimamente – ancora sulla Repubblica di Elkann – è stata associata a quella di Lotito con il caso tamponi. Per noi, lo abbiamo scritto, le due posizioni sono completamente distanti. Così come è distante l’approccio dei due alla politica. De Laurentiis, come detto, pur avendo sempre vissuto a Roma, è uomo stranamente estraneo alle modalità dei palazzi del potere italiano. In questo senso è un vero maverick. Decisamente lontano da Lotito che invece è un prodotto in purezza della politica romana. Il che, ovviamente, non è una prova di colpevolezza a carico della Lazio.