Rossi ct Ungheria: «In Italia non mi conosce nessuno, nemmeno il sindaco di Pozzuoli dove abitiamo»

Intervista a Repubblica: «Non ritornerei, da noi non c'è cultura sportiva, né pazienza. Mancini? Mi chiamava quando il figlio giocava alla Honved. Mai più sentito»

Marco Rossi
Su Repubblica un’intervista al ct della Nazionale ungherese, Marco Rossi.
“Mi sono ritrovato in Ungheria per caso. Quando ero Francoforte, un ristoratore italiano mi disse che all’Honved c’era un dirigente italiano e che cercavano un allenatore. Mi ha convinto a chiamarlo a mi presero. Facemmo un’impresa, arrivando al titolo dopo 24 anni con una squadra dal budget più basso del campionato. Io guadagnavo 2.800 euro al mese. Poi il club non rispettò i patti e me ne andai allo Streda, prima di approdare in Nazionale”.
Dice di dovere molto a Bielsa e a Lucescu.

“Il primo l’ho conosciuto quando giocavo in Messico: aveva un ufficio pieno di vhs, guardava partite dalla mattina alla sera. Mi ha insegnato che il gioco parte dai difensori, 25 anni fa era un’eresia. Lucescu è stato un grande insegnante di tattica”

Parla anche del rapporto con il ct dell’Italia, Mancini.

Siamo stati compagni di squadra alla Samp, mi chiamava spesso quando suo figlio giocava alla Honved. Poi non l’ho mai più sentito“.

Allenare in Italia? Mai più, dice.

“Non c’è cultura sportiva, né pazienza. Con la Federazione ungherese abbiamo un progetto a lunga scadenza, ma prima pensiamo ai play-off”.

Alla domanda “chi sa di Marco Rossi, in Italia?”, risponde:

Forse neanche il sindaco di Pozzuoli, dove abitiamo. Qui magari sui giornali mi massacrano perché convoco Tizio e non Caio, ma c’è considerazione. In Italia non ho quasi più contatti. Di recente però ho fatto una bella chiacchierata con De Zerbi, che era tifoso del mio Brescia

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