De Laurentiis il rivoluzionario del calcio italiano, l’uomo che sta sovvertendo la gerarchia del potere

Ha vinto due scudetti come Ferlaino ma senza il pentapartito e il Banco di Napoli. Ha dimostrato che i bilanci virtuosi sono la base dei successi. Ha contribuito all’indebolimento dell’asse Milano-Torino

De Laurentiis Conte

Napoli's chairman, Aurelio De Laurentiis, waves ahead of the trophy ceremony for the Italian Champions following the Italian Serie A football match between Napoli and Cagliari at the Diego Armando Maradona stadium in Naples on May 23, 2025. (Photo by Carlo Hermann / AFP)

De Laurentiis il rivoluzionario del calcio italiano, l’uomo che sta sovvertendo la gerarchia del potere

Due scudetti in tre stagioni. Senza Maradona. Senza il Banco di Napoli. Senza il potere politico. Corrado Ferlaino, ricordiamolo, era pienamente inserito nel sistema di potere degli anni Ottanta. Napoli era una capitale del pentapartito, vantava numerosi ministri (e di peso) nei vari governi. Da Pomicino a Gava, da De Lorenzo a Di Donato, senza dimenticare Scotti e tanti altri. Senza quel potere e senza il Banco di Napoli, Maradona a Napoli non sarebbe mai arrivato. Mai. Sistema di potere, diciamolo, che ebbe il suo peso nella conquista del secondo scudetto. Era un’altra Italia, ed era un altro calcio.

Aurelio De Laurentiis ha raggiunto lo stesso obiettivo. Ma a modo suo. Senza mai adeguarsi né rassegnarsi al modo di fare impresa nel mondo del calcio. Anzi. Lavorando ogni santo giorno di questi ventuno anni per provare a sovvertirne le regole. Ha conquistato due scudetti in tre anni. E, soprattutto, ha dimostrato che non si vince solo indebitandosi. Anzi. Che la base del successo calcistico è la virtuosità di bilancio. Che i conti in ordine non sono un freno, un ostacolo. De Laurentiis ha tracciato una via. È stato il primo, due anni fa, a vincere non solo senza debiti ma con un attivo record di bilancio. E dopo quel Napoli hanno vinto altri due club finanziariamente sani: l’Atalanta con l’Europa League e il Bologna quest’anno con la Coppa Italia.

Suo malgrado, De Laurentiis si è trovato alla testa di un movimento che sta sovvertendo la gerarchia del potere del calcio italiano. Suo malgrado perché è l’uomo più distante da quel che intendiamo comunemente per politica. È geneticamente inadatto a stringere alleanze, a cercare compromessi. È un maverick. Sa giocare solo in proprio. Ciononostante è l’indiscusso battistrada di questo nuovo gruppo di club che ha da tempo attentato alla tradizionale egemonia dell’asse Milano-Torino. Il gruppo comprende Napoli, Atalanta, Bologna, Lazio, volendo anche la Fiorentina. Tutti club virtuosi, senza debiti, con bilanci snelli. Che anno dopo anno stanno rosicchiando sempre più fette di potere. E più posti Champions, che significa più soldi.

Spesso si è parlato di lui soprattutto per il suo essere sopra le righe. Ma ci si è fermati alla forma, all’apparenza (che non sono il suo forte). Trascurando che probabilmente – oltre a un carattere che eufemisticamente possiamo definire spigoloso – si è trovato a lavorare in un sistema cristallizzato, managerialmente primitivo, in fondo abituato alle leggi mai scritte ma molto rispettate della Prima Repubblica. La realtà è che Aurelio De Laurentiis è molto di più dell’imprenditore impossibile spesso dipinto come lunatico e irascibile.

Senza dimenticare un altro dettaglio che dettaglio non è. Il Calcio Napoli non è il giocattolino di famiglia. Non è lo sfizio di un imprenditore. Né tantomeno la chiave per accedere ad altri mercati o a determinati salotti. De Laurentiis (senza offesa) non ha nemmeno l’unghia dei patrimoni personali di Percassi o Commisso. O dei Moratti e dei Berlusconi. E potremmo continuare con Della Valle, Cragnotti, Tanzi. Per lui il calcio non è uno sfizio. È un lavoro. Il Napoli è la sua azienda di famiglia.

De Laurentiis irruppe nel mondo del calcio senza conoscere non diciamo la regola del fuorigioco (probabilmente non la conosce neanche oggi) ma nemmeno a cosa servissero quelle quattro bandierine agli angoli del campo. È stato un uragano. Perché se n’è sempre fregato. Dal primo giorno ha sovvertito gli schemi. Ha imposto la visione dell’imprenditore. Si è ribellato alla dittatura della cultura del tifoso che ancora oggi viene istintivamente blandito dalla narrazione mediatica. Dove per tifoso intendiamo un uomo adulto che però deve essere assecondato e tutto sommato trattato da idiota.

Ha imposto al centro della scena il conto economico. Ha de-romanticizzato il calcio? Possibile. Nel senso che ha aperto gli occhi a tante persone. Il calcio è business. Da parte di tutti. Presidenti. Calciatori. Allenatori. Tv. Presidenti di organizzazioni internazionali o nazionali come Fifa, Uefa, Lega Serie A. Ovviamente anche per lui. Non lo ha mai negato. Anzi. Questa è stata ed è la sua forza. Ha fatto l’imprenditore nel calcio così come lo ha fatto nel cinema o lo avrebbe fatto in altri settori. Al netto di cadute ipocrite e retoriche – ma sempre così pacchiane da risultare poco credibili – ha sempre detto chiaramente che il suo obiettivo era e resta il fatturato, l’utile di impresa. Come è sacrosanto che sia. Poi, per carità, di balle ne racconta tutti i giorni. Anche lui, come praticamente tutti gli imprenditori italiani, vorrebbe fare investimenti strutturali con i soldi pubblici. Ma stiamo parlando dell’ovvio. Mannaggia a noi e a questa perenne ricerca dell’eroe senza macchia. Nessuno è buono, diceva quel tale biondino e coi capelli lunghi. Ora pretendiamo che lo sia De Laurentiis?

Adl è un gigante del calcio italiano. Qualcuno si innervosisce ma andrebbe ricordato tutti i giorni che cos’era il Napoli prima di lui. Che cos’era stato dal 1991 al 2004. E andrebbe anche ricordato che cos’era stato prima del 1984 anno dell’avvento di Diego Armando Maradona. Il Napoli non è mai stato così forte come con De Laurentiis presidente. Mai. Mai stato così a lungo ai vertici del calcio italiano. E pressoché stabilmente nella seconda fascia europea (anche se in Europa ha raccolto pochino).

Per capire la dimensione raggiunta dal club è sufficiente raccontare il progetto Antonio Conte. Un’operazione da ricchi e potenti. Perché era un’operazione rischiosa. De Laurentiis ha avuto la lucidità di capire che la disastrosa annata post-scudetto (di cui era stato l’artefice unico) aveva pericolosamente avvicinato il Napoli a un burrone. Si è fatto i suoi conti. E ha messo i soldi e il coraggio (lui userebbe un linguaggio più colorito) sul tavolo. Antonio Conte ha un ingaggio ricco, molto ricco, di gran lunga il più oneroso tra gli allenatori del Napoli. A questo ha aggiunto una campagna acquisti da 150 milioni. Che è stata possibile perché il bilancio del Napoli sprizza salute da tutti i pori grazia a una gestione sapiente. Direbbe lui anche perché a Castel Volturno non si può comprare nemmeno l’acqua minerale senza il suo placet. De Laurentiis sapeva perfettamente che per guarire in fretta c’era una sola soluzione: la medicina Antonio Conte. Ora sono bravi tutti a corteggiare Conte, magari a ricoprirlo di più soldi, ma la scorsa estate nessuno volle correre il rischio di ingaggiarlo. Né il Milan. Né la Juventus. Lo fece De Laurentiis. L’unico che poteva consentirselo.

Quest’anno ha dimostrato, anzi ha confermato, che De Laurentiis gioca a fare l’uomo di spettacolo. Ama fare quelle piazzate. Adora il finto caos. Detesta la bonaccia. Il mare tranquillo. Perché si annoia facilmente, come tutti i grandi. Ma è uno che quando il gioco si fa duro, sa perfettamente come comportarsi. Ha gestito alla perfezione un rapporto comunque delicato con Conte, soprattutto dalla cessione di Kvaratskhelia in poi. Non ha sbagliato un colpo mediaticamente. Ha persino guadagnato consensi tra i tifosi che lo hanno definitivamente riabilitato dopo il primo scudetto (non tutti, per carità). Ed è andato all’incasso. Come fece Moratti quando aveva già ingaggiato Mourinho e fu abile ad accompagnare il nervosissimo Mancini nel finale di stagione e non perdere così il campionato.

Il quarto scudetto del Napoli è certamente lo scudetto di Conte. Senza mai dimenticare, però, che senza De Laurentiis non ci sarebbe stato né Conte né lo scudetto e non sappiamo dove sarebbe stato il Napoli. Ed è stata anche la stagione in cui don Aurelio ha potuto verificare che i meriti di un presidente non vengono minimamente intaccati da una ridotta presenza mediatica. Anzi. Saper recitare più parti in commedia conferisce solo ulteriore statura. De Laurentiis non è più solo nella storia del Calcio Napoli. È ormai nella storia del calcio italiano.

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