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La Serie A vuole dallo Stato i soldi per pagare i Ronaldo e vivere con i bilanci gonfiati

Il governo chiude gli stadi ai mille raccomandati, e Lega e Figc scrivono: “Aiutare il calcio è un obbligo”. Davvero? Dove sta scritto?

La Serie A vuole dallo Stato i soldi per pagare i Ronaldo e vivere con i bilanci gonfiati

Il calcio non scende in piazza con le mascherine calate sotto il livello del naso, non ancora almeno. Per questuare sussidi, aiuti, bonus e donazioni a vario titolo il calcio non ha bisogno di cori mutuati dalle curve. Volendo avrebbe proprio le curve, non gliele avessero chiuse. Il calcio scrive lettere. Ripone in un angolino il ritegno e il decoro e scrive: “Caro Governo caccia i soldi”. Come un garzone a nero qualunque.

Pensate quanto è “grande” la sedicente industria del pallone se cinque minuti dopo la firma del Dpcm che sbatte fuori dalle tribune i mille raccomandati con ambizioni da cartonato, corre alla tastiera e detta:

“Non possiamo esimerci dal rilevare che la nostra immediata adesione alle misure di prevenzione, contenimento e gestione dell’emergenza sta causando una crisi di sistema per le squadre di Serie A, impattate a livello economico e finanziario come mai prima. Il rischio di collasso del sistema è molto alto”.

Sorvolando sullo scorno linguistico (le società “impattate”), la lettera congiunta di Lega e Figc merita un approfondimento. Scrivono – loro – che non hanno incassato 200 milioni l’anno scorso e 400 milioni quest’anno, di cui il 65% legato all’assenza di pubblico, e il restante 35% alle mancate sponsorizzazioni. ”La perdita complessiva è quindi pari a 600 milioni di euro”.

Poi però, punto e a capo, scrivono che “l’industria del calcio sviluppa oltre 4.7 miliardi di euro all’anno, in termini di ricavi diretti (la Serie A ne produce il 65%)”.

Che è un modo barocco per dire – contemporaneamente – che il calcio è un impero da 5 miliardi l’anno, ma che se perde 400 milioni, allora tocca allo Stato intervenire. I mille sugli spalti servivano come gancio per gli sponsor, argomentano. Il livello è questo. E’ economia bipolare allo stadio avanzato.

In più, per farcelo pesare un po’, dicono che il motivo di tanta crisi è “l’adesione alle misure di prevenzione”. Eroi.

La Serie A dei bilanci in profondo rosso, abituata al deficit come condotta di vita, ridottasi a comprare i giocatori in leasing. La lega dei grandi club persino quotati in borsa che, se fossero “normalmente” sul mercato dovrebbe solo portare i libri in tribunale. Questa Serie A scrive testualmente che “Aiutare il calcio professionistico è un obbligo laddove si vogliano salvare tutti gli altri sport”.

Come il pub all’angolo o il pizzaiolo che chiude alle 18, il calcio chiede al governo sgravi fiscali e ristori economici. “Ristori”, anche Conte li chiama così perché ormai è chiaro che tutta la trattativa sociale, in Italia, s’è ridotta ad una contesa sulla libera ristorazione. E, insomma, il calcio – per restare in analogia – deve pur continuare a mangiare. E’ la grande metafora del Paese che “si puzza di fame”. Vuoi che delle società che stipendiano Ronaldo e compari non si abbassino a rivendicare un’indennità purchessia?

Il calcio, per darsi una dimensione accettabile in tanto dibattito, si paragona al mondo dello spettacolo che ha ottenuto sinora 70 milioni. Ma – scrive Fulvio Bianchi su Repubblica – i club di calcio sono società per azioni a scopo di lucro: ci potrebbe essere il rischio, secondo alcune interpretazioni, del reato di aiuti di Stato”.

Il paradosso è che mentre i commercianti scendono in piazza (tra ultras e fomentatori criminali) rifiutando esplicitamente bonus e regalie (“vogliamo solo lavorare”), la “grande industria” non disdegna spicciolame e brutte figure. Tende la mano.

Il calcio ha il “protocollo”, giurisdizioni tutte sue, dei riti anti-virus non replicabili nella società di cui pretende di far parte. Si vanta a vanvera della sua unicità, nel nome della quale campa a dispetto delle più elementari leggi di economia domestica. Salvo poi tornare nei ranghi per piangere miseria, al primo appiglio di legge. I presidenti, i grandi imprenditori, i capitani d’industria, ridotti sul lastrico morale si muovono come accattoni. Solo che invece di ravanare spranghe e triti slogan da corteo, scrivono:

“Siamo a disposizione per specifici tavoli di lavoro e confronto con tutti i Ministeri competenti”.

Sono “a disposizione”. Tocca ringraziarli, pure.

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