Il numero uno squalificato per una pallata a una giudice di linea. Il regolamento è chiaro, è da squalifica immediata. Ma sui social è partito il can can riservato al calcio

“Ha accentuato, ma a termini di regolamento il rigore si può dare”. Che poi non sia un rigore ma una squalifica, e quella a terra con le mani in faccia non sia un attaccante in preda ad una simulazione improvvisa bensì una giudice di linea colpita alla gola dalla pallata di stizza del numero 1 del tennis mondiale, poco importa. Siamo corsi d’impeto alla nostra var casalinga, tra il tinello e la parete attrezzata, per rimandare al rallentatore il riflesso filmato dello scandalo: Djokovic che abbatte una povera donna, una delle pochissime anime presenti all’Arthur Ashe, il campo centrale degli US Open senza pubblico. Per finire espulso e squalificato, condannato con rito abbreviato alla gogna mediatica.
Il mondo intero (o almeno quella parte perversa che guarda il tennis a dispetto dei fusi orari) s’è catapultato sui social a sdegnarsi per il comportamento di Nole, o anche solo a sorprendersi incredulo di un tale epilogo, ma in Italia no. In Italia abbiamo allestito il processo agli ottavi di finale: moviole, arringhe, maschilismi – LA giudice, cose dell’altro mondo, appunto – e tutta la grammatica della polemica. Senza certezze, vibrando i colpi della discussione proprio dove mai i naif del tennis regolamentare s’erano potuti arrischiare: era intenzionale? L’ha fatto apposta? Ma no, non voleva, dai… esagerati!
Un tic. Un’automazione della nostra natura di sportivi complottisti.
Caso #Djokovic. La cosa più interessante è la reazione del popolo italico su @Twitter.
— Stefano Melòccaro (@meloccaros) September 6, 2020
Frivolezze da calciofili isterici che di solito il tennis non conosce. Sono quegli zoticoni tifosi del calcio che per giorni s’accapigliano su un fallo fischiato o meno, sulla volontarietà dei gesti, sulle mamme degli arbitri. Nel tennis no. Esiste banalmente un regolamento, manualistica e linee guida che nel caso specifico recitano così:
Quando sul 5-4 Carreno Busta aveva appena recuperato 3 palle break e piazzato una smorzata da 40 pari, Djokovic aveva sparato la prima pallata rabbiosa contro i teloni. Nessuno aveva fiatato. Poi però va alla battuta e commette doppio fallo, scivola e sbatte con la spalla, si ferma per un check medico, torna in campo e sullo 0-30 ecco la seconda pallata di stizza. Stavolta colpisce la sventurata giudice di linea. Il succitato regolamento non ammette alcuna discussione. Nole chiede scusa, prova a convincere il giudice arbitro, poi saluta, e se ne va, espulso, squalificato e mazziato: “perderà tutti i punti in classifica guadagnati agli Us Open e sarà multato per il premio in denaro vinto al torneo oltre a qualsiasi o tutte le multe imposte in relazione all’incidente in questione”, reciterà poi il comunicato ufficiale dell’USTA.
USTA statement on default of Novak Djokovic: pic.twitter.com/dqlt0mokg9
— US Open Tennis (@usopen) September 6, 2020
Ma nel frattempo, in Italia, complice la seconda serata orfana di campionati e salotti tv senza giacca, eravamo già al passo successivo, pressoché inedito all’estero: la rissa social, l’indignazione un po’ qua un po’ là, i pro e i contro, i nolisti e i terrappiatisti (sì, pure loro, perché quando il topic è Djokovic sui social scende in campo una strana mescolanza di sottotipi: dal novax al nomask al vegano purificazionista). “Ma un po’ di elasticità, suvvia”, e giù a cascata ulteriori 134 notifiche sul gruppo whatsapp “gli amici del tennis”.
Quel che altrove è considerata un’evidente correlazione di causa ed effetto – colpisco non intenzionalmente un’altra persona quando il regolamento esplicitamente vieta di colpire un’altra persona non intenzionalmente, e quindi vengo espulso e squalificato – non si sa come, in Italia è trasceso. Ha preso a curvare verso l’opinionismo agonistico, dove s’innesta il dubbio anche quando non c’è, e le certezze si inchinano all’ennesimo “secondo me” non richiesto. Il tennis trattato come l’ultimo moviolone di Biscardi, come se lo psicodramma settimanale della var che vede e non vede spesso a capocchia possa trasferirsi nel preciso e metodico mondo dell’occhio di falco. Dove nel regolamento c’è una sola frase, secca, composta da tre vocaboli (più una parentesi) – “unintentionally hitting someone (injuring)” – e guarda un po’ proprio quella viene a tradursi nella realtà. Senza distinguo infiniti, aree costruite sulle ipotenuse dei gomiti dei difensori, volumi corporei espandibili e discrezionalità varie.
Con la deriva ovvia, quasi fisiologica, del retropensiero automatico: “ecco, l’ATP vuole farla pagare a Djokovic per la vicenda del torneo untore nei balcani, hanno colto l’occasione”. Gli US Open sono un torneo ITF, ma non importa: sono sigle, non contano. E se la regola è chiara, e non interpretabile, beh, allora è la regola ad essere sbagliata, scomoda, non ci piace l’amma cagnà.
È più forte di noi. L’irresistibilità della caciara, la maltolleranza delle leggi, che vanno arrotondate, accomodate fino a farne poltiglia buona – appunto – per le mille interpretazioni che le disinnescano. Ammettere che se una cosa non si può fare, non si può fare e basta proprio non ci appartiene. Misuriamo il danno, l’intensità del dolo, il contesto, le motivazioni, in un’orgia di attenuanti e aggravanti che invece potrebbero stare a zero, come le chiacchiere.