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Al di là dell’eventuale truffa, è una legge idiota quella che impedisce a Suarez di giocare in Italia

Nel mondo, di questi tempi, essere bravo in qualcosa e volerla semplicemente fare in un qualunque punto del globo è un atto irriverente, quasi maleducato, a tratti sovversivo

Al di là dell’eventuale truffa, è una legge idiota quella che impedisce a Suarez di giocare in Italia

È una vecchia regola da sempre vigente quella per cui, a dover temere le leggi inutili ed irrazionali, non sono certo i ricchi bensì quelli che ricchi non sono. Qualunque stupido ostacolo legislativo è solo un piccolo fastidio per chi ha qualche soldo in banca.

Luis Suárez voleva giocare in Italia, il paese che da qualche ora è attraversato da una scossa di indignazione dinanzi allo scandalo dei verbi dell’uruguagio coniugati all’infinito. Ma nel mondo, di questi tempi, essere bravo in qualcosa e volerla semplicemente fare in un qualunque punto del globo è un atto irriverente, quasi maleducato, a tratti sovversivo. Se sei un muratore e vuoi tirar su un muro a Vigevano, per esempio, devi prima assicurarti che i muratori vigevanesi non ne abbiano a male. Si chiama “sicurezza nazionale”, o anche “difesa del territorio”. Non sapeva, dunque, il Suarez, che non basta essere un ottimo attaccante per avere accesso ad un campo di gioco. Sarebbe troppo facile. È di fondamentale importanza sapere anche dove sei nato e se, eventualmente, il cugino di un tuo trisavolo nella carbonara usava o meno la besciamella.

Ora, al netto della possibile truffa e con tutto il giustificatissimo brivido che percorre gli innumerevoli osservatori, di destra e di sinistra, custodi della nostra moralità, c’è qualcuno disposto a chiedersi: “Perché?”

Perché esiste una limitazione e una regolamentazione dei calciatori extracomunitari? Che senso ha vincolare la cittadinanza di un calciatore, dunque l’effettiva possibilità di un giovane o una giovane intorno ai venticinque anni di poter giocare a pallone, alla sua eventuale origine extra-comunitaria? Che razionalità può mai aver ispirato l’aver legato la cittadinanza (cioè il diritto, da cittadino comunitario, di muoversi liberamente nella Comunità Europea e ivi godere dei diritti sociali, civili e politici) ad un esame di italiano? Perché lavorare in un paese non è necessario e sufficiente a concedere diritti civili e cittadinanza ad un extra-comunitario?

Questo “perché”, semplice semplice, rimarrà inevaso. Potete stare sereni. Ora ci sono altre ben più pressanti domande: chi è il mandante? Chi sono i professori? Quante telefonate sono state fatte?

La storia dei principi ad excludendum – ossia delle leggi idiote fatte a uso e consumo del popolo (che se le vota, contento) affinché esso si senta scioccamente rassicurato dallo stesso potente che è certo di avere accesso ai propri intrallazzi – è quella che Monicelli e Steno raccontarono, in un soggetto di Anton Čechov, in “Toto’ e i re di Roma”. Sono passati settant’anni da allora, e stiamo ancora a scrivere sui giornali che è giusto bocciare il signor archivista capo, che sa fare il proprio lavoro ma non conosce il nome di un pachiderma – salvo poi ridere guardando i film con Totò, che rimarranno geniali e completamente incompresi.

Luis Suárez saprà anche giocare in Champions ma non conosce il nome del lago più grande d’Italia. Un dettaglio che, sono certo, sarà noto a tutti gli attaccanti di mamma e papà italiani.

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