Le jurnate passiavano linte a cagione del granni cavudo che faciva. Ma la sira i du ziti potivano stari nsemmula.
Eri finalmente trasuta l’estati e Livie haviva avuta qialichi juorna di vacantia dal sua studia: ed eri vinuta a Marinelle da Salvu. Le jurnate passiavano linte a cagione del granni cavudo che faciva. Ma la sira i du ziti potivano stari nsemmula.
“Allura Livie stasira annama da Calogiro a mangiaricci qualichi cusa?”.
Livie: “No, caro con questo caldo pensi ancora a mangiare: ma sei senza fondo?”.
Muntilbano: “Ma ia qualichi cusa havia da mangiarimici: nun possa mica rimaniri diuna”.
L: “Ma non vedi che tramonti la tua Sicilia ti sta apparecchiando?”.
M: “M ia prifiriria cunzarmia la tabula non i tramunta”.
L: “Materialista ateo!, ecco in fondo che cosa sei: un seguace di quei filosofi che mettono al centro della loro riflessione solo la materialità dei corpi”:
M: “Ma qualia corpora: accà stamma a parlari di famma nira”.
L: “Parli come se facessi lo scaricatore di porto: sei o non sei un funzionario di polizia?”.
M: “Ma per functionari il funcionario havi da mittiri la binzina nel corpore: assinò non functiona macari il criveddra”.
L: “Eppoi questo riferimento sempiterno alla tua attività cerebrale: ma mica sei un fisico nucleare!”.
M: “Va bine, faciaria sulo il puliziotta ma nel mio misteri havi da ragiunare analiticamente come Pascalia”.
M: “Ecco il Montalbano che non si legge un libro: ora vaneggia anche con i pensieri di Blaise Pascal”.
M: “Ma io Pascalia l’havio litta!”.
L: “E sentiamo cosa direbbe Pascal sull’attività poliziesca?”.
M: “Propria su chella non dicia nihila di pricisa: ma parle del mitoda d’analisia che nel nostro misteri s’ause e comma”.
L: “Vedo già i titoli del romanzo d’appendice: “I pensieri di Serpiko”, viaggio nella metodologia d’indagine”.
M: “Non faci ridiri nianche a una musca”.
L: “Ma perché invece noi non ci mettiamo con un buon amaro a vederci il tramonto che tra poco innerverà di rossore la linea del cielo?”.
M: “Va bine come volia tibi: ma almino na capunatine mi l’havia fari mangiari”.
Mintre Muntilbano appriparava la capunatine con chella che tiniva spartuta nella dispinsa, vitte a Livie che vistita de sula na tuniche trasparinta faciva strangia muviminta sulla terratia fora”.
M: “Livie ma che mintula successe?”.
L: “E non mi rovinare la concentrazione: non vedi che facevo il fiore di Loto?”.
M: “Il ciuri di chia?”.
L: “Hai mai sentito parlare di yoga?”-
M: “Si, mi paria una marche di yogus?”.
L: “Ed ora cos’è questo yogus?”.
M: “E chilla cosa facta di fermenta di lattia che si mangino chella che stanno a diete o havino prublema di stomache”.
L: “E tu mi scambi la disciplina dello Yoga con uno yogurt magro?”.
M: “Magra, grassa: che differentia faci?”.
I due ziti riprisiro le lura activitate mbrunciata e sinza dignarse di darrisi adentia. Muntilbano si sbafai omnia le capunatine irrorata con il vinella di Catarelle, mintra Livie yogava con il Lota.
Ma vinni l’’ura dell’auria vespera e la linnea del mari si fici ambre…
Il silentia assugliai commo la friscura ed il ciriveddro s’astutai comno na machina spinta. L’animus cangiai e si fici commo chilla dei picciliddra.
I du ziti a’arritruvarana abbraciata commo ciuri di lota o comme il pania grattata su una milinzana a funghetta.
Nature non facit salta