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Schiavone: «La malattia mi ha regalato la pazienza, ho un senso dell’esistenza diverso»

Al Corriere della Sera: «Quando mi hanno diagnosticato il linfoma mi sono chiesta: perché proprio io? Poi ho capito che Ciascuno di noi ha il suo cammino».

Schiavone: «La malattia mi ha regalato la pazienza, ho un senso dell’esistenza diverso»

Il Corriere della Sera intervista l’ex tennista Francesca Schiavone. Della pandemia dice che è un’esperienza che ci costringe a riflettere.

«I più forti sono quelli che non ne usciranno a mani vuote, ma portandosi dietro qualcosa».

Parla della sua malattia, oggi superata. Le è stato diagnosticato un linfoma.

«Il mio patrimonio me lo porto dentro. Mi sono ripresa la salute, che non è poco, e il tempo. Ora mi rendo conto di quando vado troppo veloce. Il campione è chi sa fermarsi, respirare e dare alle cose il giusto valore. La pace interiore: dopo quello che mi è successo, ho l’obbligo di mantenerla. Quando me lo scordo, chi mi vuole bene mi richiama all’ordine: Franci stacca, prenditi i tuoi spazi. Un caffè, un libro, una passeggiata».

Del Roland Garros vinto nel 2010 ricorda le sensazioni del corpo.

«È buffo: ricorda più il corpo della mente. La sensazione della pancia e delle gambe per terra sul centrale ruvido, dopo il match point con la Stosur, è qui con me. Sentivo la forma che mi cresceva dentro, partita per partita, fino alla finale. Un’emozione difficile da spiegare. Una presenza grandissima: ero totalmente calata nel momento e nella situazione. Ricordo il pensiero prima dell’ultimo punto: mandami la palla, che la gioco come voglio io. Se mi servi sul rovescio, io la colpisco alta, in anticipo, e te la rimando sul rovescio. Io posso, io faccio, io, io, io. Zero paura, soltanto positività».

La Schiavone dichiara di credere nel destino.

«Lo disegniamo noi. Poi ci sono forze più grandi che ci aprono le strade. Linfoma, è la diagnosi. Ti chiedi perché, perché proprio io? Io che non ho mai bevuto né fumato…».

La risposta che si è data è una:

«È giusto così. Ciascuno di noi ha il suo cammino».

E racconta come è cambiata vivendo la malattia.

«Di base, sono scema come allora (ride). Però comunico di più, mi sono aperta. Prima filtravo, mi proteggevo. Oggi ho un senso dell’esistenza diverso: la malattia mi ha regalato la pazienza».

Rifarebbe tutto, ma anche qualcosa in più:

«Investirei subito su di me: un coach, un preparatore, un viaggio negli Usa senza aspettare. Ma trentacinque anni fa non potevo, non avevo soldi».

Parla del suo bistrot sui Navigli, di quanto ci stia investendo in termini di tempo e passione. Rimanda l’idea di allenare al 2021

«Ancora non posso prendere aerei, devo essere prudente. Ma ogni tanto vado in campo a Buccinasco con Mila, la ragazzina che ha vinto la mia borsa di studio. Sono ancora bravina!».

E conclude dicendo che, tra mille anni, nel mondo del tennis vorrebbe essere ricordata con una parola soltanto:

«Leonessa, basta così».

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