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Altro che industria, la Serie A prende schiaffi dalla politica perché non può farne a meno

Dopo la figuraccia di ieri (messa sotto ai voti in Figc) Ecclestone avrebbe dichiarato l’indipendenza. Ma i bilanci sono posticci e senza politica non si va da nessuna parte

Altro che industria, la Serie A prende schiaffi dalla politica perché non può farne a meno
Il Divo, foto di scena di Gianni Fiorito

Lo sport non c’entra niente

Ci sono troppi aspetti incomprensibili di questo ritorno del calcio giocato. Fin qui, avevamo chiaro un aspetto: il calcio torna per motivi economici. Ha bisogno di soldi sennò muore. “Il calcio è un’industria” è stato il refrain. “Non voglio essere il becchino del calcio” lo slogan elettorale di Gravina. È stata messa su una sceneggiatura degna di Billy Wilder per trasformare questo comprensibile e legittimo discorso utilitaristico in un servizio reso alla nazione.

Insomma nessuno, neanche per un nanosecondo, ha pensato che potesse essere una cosa seria. Di sportivo il ritorno del campionato non ha nulla. E invece, a leggere oggi qua e là, sembra che per molti non fosse così. I quotidiani sono divisi. Quelli di Cairo – Corsera e Gazzetta – hanno scritto editoriali dal vago sapore vendicativo nei confronti di Gravina. Per la serie “vedremo più avanti”. Gli altri, soprattutto Repubblica e Corriere dello Sport, hanno incoronato Gravina imperatore della sportività che lancia in resta (con l’effige di de Coubertin) ha combattuto e vinto l’impero del male ossia coloro i quali volevano eliminare le retrocessioni, giocare qualche settimana, intascare i piccioli dei diritti tv e arrivederci e grazie.

Una battaglia tra ego

È successo che lungo la strada del bluff, qualcuno ha cominciato col prendere il gioco seriamente. Ed è, come al solito, diventata una competizione diciamo virile. Ti faccio vedere io chi comanda. Non c’è un “buono” in questa vicenda. È fondato il sospetto che Cairo non volesse giocare per paura di retrocedere e per risparmiare qualche mese di stipendi. Vale per Cairo e per altri presidenti. Le mosse di Cairo sono le più evidenti visto che i suoi quotidiani non passeranno alla storia come esempio di dissimulazione del pensiero dell’editore. Ma più o meno hanno giocato tutti a carte scoperte e tutti esclusivamente per difendere il proprio conto economico. Anche Gravina, ovviamente, con i suoi play-off usa e getta e la prova di forza al grido “Vi faccio vedere io chi conta”.

Francamente anche la lite con Sky ha del surreale. Giusta nel merito. Ma con un’obiezione. La proposta di De Laurentiis di oscurare il segnale in caso di mancato pagamento, porta dritti dritti a una domanda: “ma se non incassate i soldi di Sky, perché lo avete ripreso questo campionato?”. Il paradosso è che alla fine l’ego ha preso il sopravvento persino sui conti.

Un’adolescente coi brufoli

La Serie A ne esce male, sì. Ma fino a un certo punto. Perché i soldi li ha la Serie A. Però la Serie A deve diventare grande, adulta. E imparare a navigare nel mare magnum del mercato, là dove vuole portarla Dal Pino. Altrimenti resterà nella terra di mezzo. Scaramucce, dispetti, audio rubati, articoli su commissione, e poi si fa mettere sotto nella votazione dall’architrave politica federale che quei soldi non li vede nemmeno col cannocchiale.

Già stavolta la Serie A ha perso un’occasione. La figuraccia di ieri – 17 voti contro 3 in consiglio federale – ha senso solo se utilizzata come pretesto per una clamorosa rottura con la Federcalcio. Ecclestone avrebbe fatto così. “Addio Federcalcio, ci mettiamo in proprio”. E oggi staremmo a discutere di uno strappo epocale. Da noi, invece, continua a essere un giochino di sponde, di strizzatine. Di richieste di favori. Perché, al fondo, l’industria è posticcia, i bilanci sono quasi tutti acconciati, si vive di plusvalenze gonfiate. E si pensa a come sopravvivere domani.

Si fa presto a dire “dobbiamo essere come la Premier” (Marotta dixit), bisogna passare dall’adolescenza all’età adulta. Per ora, la Serie A ha i brufoli e la sera va a fare gli scherzi al citofono. E poi si fa mettere in punizione dai genitori.

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