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Il Giornale: l’attività fisica complice del coronavirus

Secondo un primo modello, l’attività fisica nelle prime fasi della malattia causerebbe l’aggravarsi portando a maggiori complicazioni polmonari

Il Giornale: l’attività fisica complice del coronavirus

Il Giornale riporta oggi i risultati di una ricerca condotta da tre ricercatori italiani Paolo Maria Matricardi, Università di Berlino; Roberto Walter Dal Negro, Centro di Farmaco-epidemiologia di Verona; Roberto Nisini, Immunologo dell’Iss, che ha cercato di produrre un modello per spiegare i diversi comportamenti del coronavirus negli individui. È oramai certo che siano le prime due settimane a influenzare quello che sarà l’esito della malattia per i contagiati e in quest’ottica la ricerca evidenzia il ruolo negativo dell’attività fisica

Se il virus è presente nel nostro organismo e si compie «un esercizio fisico intenso e prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l’esordio della malattia», spiegano gli studiosi, si facilita la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l’impatto sulle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi neutralizzanti. Superate le prime difese se arriva agli alveoli già nelle prime fasi dell’infezione allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni. A quel punto la risposta immunitaria arriva in ritardo ed indebolita mentre il virus si è potenziato, replicandosi in moltissime copie e provocando così una gravissima infiammazione con il risultato di scatenare gravi complicazioni che spesso richiedono terapia intensiva e, in alcuni pazienti, causano il decesso.

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