«Il calcio si è mosso in ritardo. Non bastava chiudere gli stadi, dentro ci siamo noi che ci giochiamo»
Sul Corriere dello Sport intervista a Alessandro Favalli, il calciatore della Reggio Audace positivo al Coronavirus: «Siamo persone, con ansie e paure. Per fortuna è arrivato questo decreto»

foto Hermann
Il Corriere dello Sport intervista Alessandro Favalli, il calciatore della Reggio Audace (serie C) risultato positivo al Covid-19. Il primo di cui sono state rese note le generalità. E’ in isolamento da cinque giorni nella sua casa in provincia di Cremona.
Ora sta bene, racconta. Ha solo un forte raffreddore. Ha fatto il tampone dopo aver saputo che alcuni suoi parenti, con cui aveva avuto dei contatti, erano risultati positivi. I primi sintomi sono stati febbre, non più alta di 38, poi fissa a 37,5 raffreddore, bruciore agli occhi e un forte mal di testa.
Adesso è in attesa di fare il secondo tampone, quello che garantisca la completa guarigione.
Prima di sapere di essere positivo, Favalli si era allenato con la squadra.
«Non credo siano stati sottoposti al tampone, ma allenatori, staff, giocatori, sono tutti in autoisolamento fino a venerdì».
Il calciatore racconta che la squadra aveva preso tutte le precauzioni indicate dalla Federazione Medici Sportivi e che lui stesso si era attenuto alle indicazioni, da quando è iniziata l’emergenza.
«Da quando è scattata l’emergenza Coronavirus sono sempre stato attento a non frequentare posti affollati. Facevo allenamento e poi andavo a casa, senza fermarmi. L’unica leggerezza è stata quella di una cena con i miei parenti, genitori e fratelli: evidentemente il contagio è cominciato là, anche loro hanno avuto i miei sintomi, anche se certezze non ce ne sono».
Per lui non si è reso necessario il ricovero in ospedale, ma per alcuni dei suoi familiari sì. Di certo, dice, l’esperienza gli è servita per comprendere la gravità dell’emergenza.
«La sensazione mia è che ci si rende conto della gravità di una cosa solo quando ti capita personalmente, purtroppo è così. Spero che la gente capisca che non bisogna guardare a se stessi ma anche agli altri, spero che la gente sia responsabile come non lo è stata fino a qualche giorno fa. Ho visto sui social scene che denotano poco senso civico e poca responsabilità. La corsa ai treni, le feste, gli aperitivi di gruppo. C’è gente che ancora non ha capito che questa è una situazione molto seria».
Sulla sospensione del campionato:
«Fermarsi era la cosa migliore. Però sì, il calcio si è mosso in ritardo. Non bastava chiudere gli stadi, dentro ci siamo noi che ci giochiamo. E siamo persone, con le nostre ansie, con le nostre paure come tutti. Per fortuna è arrivato questo decreto»
Sui calciatori che, durante le partite a porte chiuse del weekend, si sono abbracciati in campo dopo i gol:
«Ho avuto sentimenti contrastanti. E’ difficile da spiegare. Pensavo che era rischioso, li vedevo e mi veniva da dirgli: ragazzi, fermatevi, non abbracciatevi. Ma allo stesso momento per noi calciatori giocare è vita, quindi li capivo. Capivo la loro voglia di normalità, la verità è che abbiamo tutti bisogno di normalità. Per questo è stato giusto fermarsi».
Favalli racconta le ansie vissute nello spogliatoio, sin da quando è scoppiata l’emergenza.
«C’è molta ansia, da quando è scoppiata l’emergenza negli spogliatoio non si parlava d’altro. Siamo ragazzi tra i 20 e i 30-35 anni, abbiamo mogli, fidanzate, famiglie, bambini, genitori, amici. Non aveva più senso andare avanti. Ho apprezzato molto le dichiarazioni pubbliche del presidente AIC Tommasi. Personalmente mi sono sentito voler bene da un sacco di compagni, ragazzi con cui gioco qui a Reggio Emilia o con cui ho giocato in passato. Voglio che sappiano che quell’affetto mi ha fatto bene».