Inchiesta di Repubblica: dal 2007 senza di loro lo stadio resta chiuso al pubblico, guadagnano una miseria e spesso devono fare i pendolari

25 euro per 6-7 ore di lavoro, ad affiancare le forze dell’ordine, a controllare i tifosi, a prendersi spesso insulti se non altro. Nessuno vuol più fare lo steward allo stadio, in Italia. Ed è un problema grosso. Perché dal 2007, l’anno del decreto antiviolenza, senza di loro gli stadi non possono essere aperti al pubblico. Si va verso un futuro di partite a porte chiuse, a cominciare dalle serie minori.
Secondo un’inchiesta di Repubblica “la loro condizione lavorativa si è progressivamente deteriorata. Sottopagati e sempre più spesso spinti dal miraggio di qualche decina di euro (tra i 25 e i 35 netti a partita) a lunghe trasferte in pullman da nord a sud o viceversa per coprire i buchi di organico – se non addirittura a forme di sfruttamento equiparabili al caporalato in agricoltura, con la differenza che qui tutto è formalmente legale – gli steward stanno gettando la spugna in percentuale ormai allarmante. Ci sono state partite, anche in qualche grande stadio, giocate con un numero di steward inferiore a quello richiesto e vistato dagli organismi competenti”.
L’organizzazione sindacale nazionale dei circa 8 mila lavoratori ufficiosamente censiti – scrive Repubblica – sta pensando ad uno sciopero, nel qual caso i campionati professionistici rischierebbero la paralisi.
“La serie C è da tempo in sofferenza per le difficoltà economiche di molti club. Lo scorso 24 novembre Catania-Casertana si era giocata a porte chiuse per l’impossibilità di garantire la presenza dei 105 steward richiesti e il 27 dicembre l’azienda fornitrice del servizio di sicurezza (in Italia sono circa una trentina quelle attive negli eventi sportivi e dello spettacolo) aveva comunicato l’interruzione del rapporto per l’inadempimento contrattuale del Calcio Catania. Ma la vicenda della decima città italiana per popolazione (311 mila abitanti) non è affatto isolata”.