Achille Lauro: «Su di me circola una leggenda nera, mai stato in galera»

Intervista al CorSera: «Nelle mie canzoni ci sono la solitudine, il vuoto, l’abbandono che ho conosciuto. C’è un grido d’aiuto. Sono stato in almeno dieci scuole. Mi cacciavano, me ne andavo».

Achille Lauro

Sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo intervista Achille Lauro. Due pagine che svelano il cantante che più di tutti ha sorpreso il pubblico del Festival di Sanremo con i suoi travestimenti. E che rivelano molto del personaggio e della persona.

Su di lui è stato scritto tutto, che è stato spacciatore, ladro di motorini, e persino rapinatore di supermercati. Non c’è nulla di vero, spiega.

«Su di me circola una leggenda nera, inventata da gente che ha interpretato alla lettera il mio primo libro, Sono io Amleto, che in realtà è una biografia romanzata. Ne sto scrivendo un altro, La storia di una notte, in cui sono innamorato di un ricordo. Non si è mai innamorati di quel che si ha; si è sempre innamorati di quel che non si ha più».

Certo, però, la droga l’ha conosciuta.

«Nelle periferie la droga esiste. Far finta che non esista è più sbagliato che parlarne. È una piaga sociale che non va nascosta: ne va dato un giudizio negativo. Non posso dire che queste cose non le ho mai viste; al contrario, le conosco, e cerco di aiutare le persone a non distruggere la loro vita. Vengono a intervistarmi e poi scrivono “Lauro spaccia”, al presente, “Lauro ruba”, al presente. Sono cresciuto in un ambiente difficile, in mezzo a persone problematiche. Ma Sanremo è il frutto di quindici anni di impegno. Se avessi buttato il tempo in queste sciocchezze non sarei qui. Canto per dire ai ragazzi di non sprecare il loro tempo: prima capisci quello che vuoi fare, prima arrivi al successo. E il successo non è la fama; è la riuscita del proprio percorso».

Il suo percorso artistico è frutto di ciò che ha vissuto, dei sacrifici dei suoi genitori e dei suoi.

«Ho visto per tutta la vita i miei farsi il culo e non riuscire, mio padre spaccarsi la schiena senza avere quello che gli spettava, mia madre fare lavoretti saltuari umilianti. Da questo è nata la mia ambizione. Ho suonato davanti a tre persone. Ho pagato di tasca mia la sala del primo concerto, 300 euro per lo Zoobar di Roma. Per anni non ho dormito, per creare tutto questo. Proprio quando ero stanco, a un certo punto tutto si è messo a posto, sia la mia vita sia quella dei miei».

Nega di essere mai stato in galera, come pure si è detto.

«Pure questa voce fa parte della leggenda. Ho avuto abbastanza amici incasinati da capire quello che non volevo diventare. Amici reduci da dipendenza o da sbagli adolescenziali, che entravano e uscivano per cose fatte da ragazzini. Il carcere non è il posto giusto per recuperare i ragazzi. Per loro facciamo molto di più io e quelli come me».

Ai concerti chiede al suo pubblico di spegnere i telefonini.

«Nelle mie canzoni ci sono la solitudine, il vuoto, l’abbandono che ho conosciuto. C’è un grido d’aiuto. C’è il burrone, l’autoanalisi, l’introspezione. Siamo cresciuti insieme, anzi ci siamo cresciuti l’uno con l’altro, per strada, mettendo tutto in comune, idee, aspirazioni. Per questo ho intitolato un disco Ragazzi madre».

Lauro racconta la sua adolescenza, con il cambio di una scuola dopo l’altra.

«Sono stato in tutte le scuole. Almeno dieci. Mi cacciavano, me ne andavo, non ci andavo. Nella stessa classe trovavi i ragazzi di periferia e quelli di corso Trieste, chi non aveva nulla e chi aveva in casa il pianoforte a coda; e questa contaminazione è positiva. A Montesacro è nato Claudio Baglioni, qui Rino Gaetano è cresciuto e si è schiantato in macchina. Andare nel centro di Roma era come andare in vacanza».

Spiega che Achille Lauro è un soprannome, perché lui si chiama Lauro, “un antico nome veneto, che suona un po’ ostico” e racconta che i suoi dischi nascono in riunioni un luogo segreto

«In un villaggio perduto in una riserva naturale. Ci sono molte case, c’è un viavai di centinaia di persone, da Coez ad Anna Tatangelo…».

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