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I 25 palloni persi sono l’amara fotografia del Napoli di Ancelotti

Il Bologna ha intercettato 19 passaggi contro i 5 del Napoli. Squadra senza equilibrio nel giorno del sorprendente ritorno al 4-3-3 totale

I 25 palloni persi sono l’amara fotografia del Napoli di Ancelotti

Il ritorno del 4-3-3 (quello vero)

Dopo la buona prova di Liverpool, Ancelotti ha sorpreso tutti. Il ritorno al 4-3-3 è stato “totale”, nel senso che il Napoli visto ieri contro il Bologna ha anche difeso secondo i meccanismi che derivano da questo sistema di gioco. In fase statica, gli azzurri si sono schierati con il 4-5-1, con Lozano e Insigne retrocessi sulla linea dei centrocampisti; spesso, però, i due esterni del tridente hanno iniziato la fase di non possesso alzando il pressing sull’impostazione da dietro del Bologna. La squadra di Mihajlovic ha costruito ogni azione – il possesso dei rossoblu nel proprio terzo di campo è risultato a volte anche esasperato – con i due centrali, aiutati spesso dal terzino (adattato) Denswil. In questo modo, si determinava un inizio azione in parità o anche in superiorità numerica, come si evince chiaramente dal frame sotto.

4-3-3 puro anche nel primo pressing

In fase attiva, invece il Napoli ha provato ad attuare un nuovo metodo. Le spaziature – come vediamo nel frame e nel campetto posizionale in basso – sono state quelle del 4-3-3, che diventava una sorta di 2-5-3 in fase d’attacco, ma i meccanismi prevedevano l’uscita dalla difesa e l’immediata verticalizzazione sugli esterni offensivi. I centrocampisti sono stati utilizzati come specchi, anzi come muri, dopo questo primo servizio: dovevano ricevere il pallone nei mezzi spazi direttamente da Lozano e/o Insigne; subito dopo dovevano respingerlo, cercando di far progredire la manovra.

Il 4-3-3 del Napoli in fase d’attacco.

Un tentativo ambizioso da parte di Ancelotti, che in pratica ha cercato di riattivare parte degli automatismi che questa squadra ha utilizzato con Sarri e nei primi tempi della sua gestione. Come sottolineato anche dallo stesso allenatore nel postpartita, però, il Napoli visto contro il Bologna è stato troppo discontinuo in tutte le fasi di gioco per poter sostenere un sistema così dispendioso. Nella ripresa, soprattutto, la squadra azzurra è sembrata sfilacciata, le distanze tra i giocatori e tra i reparti erano troppo ampie. Così gli uomini di Mihajlovic, che nel primo tempo si erano resi davvero pericolosi in una sola occasione, peraltro fortuita – l’acrobazia di Dzemaili dopo la svirgolata di Fabián Ruiz – sono riusciti a costruire numerose occasioni. Nella ripresa, il Bologna ha tirato per 6 volte verso la porta di Ospina. E sono state tutte palle gol nitide.

I problemi del Napoli

Come al solito, viene da dire, il Napoli ha palesato problemi offensivi. Il numero di conclusioni tentate verso la porta è più alto rispetto alle ultime uscite (30, praticamente una ogni tre minuti di gioco), ma solo 6 sono entrate nello specchio. Di queste 6, 2 sono arrivate in occasione del gol di Llorente. Quindi vuol dire che gli azzurri hanno tirato nell’area delimitata dai pali per 4 volte in 96 minuti di gioco.

Come interpretare questo numero? Attraverso le difficoltà di costruire delle occasioni chiare, con un gioco lineare. Per avvalorare questa considerazione, basta analizzare più in profondità la statistica sui tiri tentati: 16 sono arrivati da fuori area, 8 sono stati respinti da un difensore avversario. Quindi, in totale, il Napoli è riuscito ad arrivare a una conclusione non forzata, e all’interno dei 16 metri, per 6 volte. In oltre 90 minuti di gioco. Non sono gli stessi 6 tentativi entrati nello specchio, ma il fatto che la cifra sia ricorrente mostra chiaramente quali siano le reali difficoltà di questa squadra.

Una distribuzione che ricorda il Napoli di Sarri.

Come evidenzia il grafico appena sopra, il Napoli ha giocato soprattutto sulla fascia sinistra. Una dinamica che deriva dal ritorno al 4-3-3, un sistema di gioco che permette a Insigne di essere nel vivo del gioco, e di rendere al meglio – almeno in teoria. Partendo da qui, però, sorgono alcuni interrogativi: se Ancelotti ha scelto di privilegiare la costruzione dal lato di Insigne, perché ha schierato un terzino a piede invertito proprio da quella parte? Perché (l’ottimo) Mario Rui (visto a Liverpool) è andato in panchina? Se il portoghese ha una condizione fisica precaria, al netto di nuovi infortuni, è una mancanza dello staff tecnico. Se la sua esclusione è stata decisa per motivi di rotazione e/o strategia tattica, è francamente inspiegabile. Quindi va addebitata comunque allo staff tecnico.

Aggiungiamo un altro dato: il Napoli, proprio per assecondare la scelta di giocare sulle fasce – soprattutto a sinistra – così da esaltare la fisicità di Llorente, ha tentato per 40 (!) volte il cross. Di questi, 10 sono arrivati da Insigne (uno solo riuscito) e 9 da Maksimovic e Lozano – ovvero i due esterni offensivi e il terzino destro. Anche in virtù del fatto che Maksimovic non ha grandi doti offensive, perché utilizzare Di Lorenzo a piede invertito? L’ex Empoli ha tentato solo 2 volte il cross, proprio perché si trovava a dover cercare gli attaccanti con il sinistro, e non con il suo piede naturale.

Una costruzione non fluida

Come detto da Ancelotti nel postpartita, poche volte il Napoli è riuscito a costruire dalla difesa in maniera fluida. La scelta di utilizzare Di Lorenzo ha inficiato anche questo aspetto, rendendo più complessi gli smistamenti dalla sinistra. Il resto, poi, lo hanno fatto gli errori di misura negli appoggi. Nel campetto sotto, sono riportate le 25 palle perse dai giocatori azzurri. Di queste, solo 7 sono state determinate da un contrasto con un avversario. Quindi, fare la sottrazione è facile: in 18 azioni, il Napoli ha perso la palla con errori non forzati.

L’orientamento dell’attacco è da sinistra verso destra.

È un dato enorme, sproporzionato, a cui Ancelotti potrebbe aver fatto velato riferimento nelle interviste del postpartita – quando ha ammesso le proprie responsabilità, ma ha sottolineato anche le gravi mancanze dei suoi calciatori. In effetti, al Bologna è bastato rimanere tutto compatto dietro la linea della palla per inaridire quasi completamente la manovra del Napoli. Un altro dato che serve a chiarire le difficoltà della squadra azzurra: il Bologna ha intercettato 19 passaggi del Napoli, che invece ne ha intercettati solo 5.

Conclusioni

Con il ritorno al 4-3-3, probabilmente, Ancelotti voleva cercare di dare un’ulteriore risorsa al Napoli per sviluppare la sua idea di calcio verticale. Una (nuova) scossa, se vogliamo. Per alcuni frangenti della partita, il tentativo è anche riuscito. Alla metà del primo tempo e all’inizio della ripresa, la squadra azzurra ha dato la sensazione di chiudere il Bologna nella sua metà campo, di tenere le distanze corte, di poter maneggiare l’arma del pressing senza accusare scompensi.

Poi, però, si sono palesati degli squilibri. Il gol del pareggio del Bologna è arrivato in una situazione di inferiorità numerica individuale causata da un cambio di campo, con Maksimovic solo contro due esterni del Bologna. Il problema non è tanto il mancato supporto di Lozano da quel lato, piuttosto gli ampi spazi lasciati vuoti dopo che la squadra di Mihajlovic era riuscita a superare il primo pressing. Segno che la squadra non si è mossa in maniera compatta, rispettando le distanze in campo.

Lozano non torna a coprire, ok. Al Bologna, però, basta una sponda di Palacio per liberare quattro uomini nello spazio tra la difesa e il centrocampo del Napoli. Una situazione di parità numerica da cui scaturisce il cross che porterà al gol di Skov Olsen. Il problema vero è che tutta la squadra ha faticato ad accorciare le distanze con la linea difensiva, posizionata anche in maniera corretta. Per il Bologna, c’è un’enorme fetta di campo da attaccare senza che possa esserci una reale opposizione.

Il ritorno al 4-4-2 dopo il gol di Skov Olsen ha determinato l’allungamento, quindi la perdita definitiva delle distanze giuste. Il Napoli si è scollato, ancor più di quanto non lo fosse in precedenza, anche a causa della presenza contemporanea di quattro attaccanti “puri”, di quattro giocatori che Ancelotti ha utilizzato come punte (Lozano, Mertens, Llorente e Insigne). Anche per questo, le parole dell’allenatore sui «problemi tecnici e tattici» di questa squadra devono far riflettere tutti. Lo stesso tecnico, in primis, che non sembra riuscire più a dare gli stimoli giusti – vecchi, nuovi, seminuovi, anche “usati” – ai suoi uomini; e poi i calciatori, tutti al di sotto della sufficienza appena riportati in un contesto in cui devono dominare il gioco su un andamento lento.

Ecco, il vero problema del Napoli è proprio questo. Al di là di alcuni casi isolati, gli uomini di Ancelotti fanno fatica a creare azioni veloci partendo da ritmi bassi, quindi a disarticolare il sistema della squadra avversaria. Se in Champions questa situazione viene bypassata grazie all’intensità che appartiene anche agli avversari, in campionato finisce per dilatarsi. Fino a rendere facilmente leggibile, per non dire estremamente prevedibile, il gioco d’attacco. Non a caso, tornando al discorso precedente, Ancelotti ha provato a creare nuove situazioni offensive con un nuovo sistema, ma ha finito per determinare grossi scompensi difensivi. E per perdere la partita, nonostante l’avversario fosse evidentemente inferiore dal punto di vista tecnico.

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