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Il Maledetto United in salsa napoletana

I 45 giorni da Salisburgo a Udine. Una vicenda che ricorda quella di Clough, con una serie di elementi in più (il ruolo del club). Ma sarà il campo a decidere e Ancelotti è concentrato sul campo

Il Maledetto United in salsa napoletana

 

È lo scrittore Giovanni De Matteo, su Twitter, a imbroccare la cornice perfetta per il quadro di questo Napoli che oggi a Udine si gioca una fetta importante del suo progetto. La fetta che si chiama Carlo Ancelotti. La fetta che nelle dichiarazioni della vigilia, e nella testa dei protagonisti dei piani alti, avrebbe potuto portare a una vittoria prestigiosa.

Effettivamente ci sono non poche similitudini con una delle storia più affascinanti della storia del calcio. I 44 giorni di Brian Clough sulla panchina degli odiati calciatori del Leeds. Ovviamente non è la stessa storia, Qui nessuno odia nessuno. Ma anche qui c’è un gruppo che era legatissimo al precedente allenatore – Sarri come Don Revie – al suo modo di giocare – quello decisamente meno estetico – e che non ha condiviso la visione del successore. Non aver condiviso la visione, non vuol dire obbligatoriamente giocargli contro. Vuol dire non trovarsi a proprio agio. Vuol dire continuare a pensare insistentemente che in un altro modo sarebbe meglio. Vuol dire dover abbandonare la propria comfort zone, rimettersi in gioco. Comportamenti che hanno riguardato ciascuno di noi su un luogo di lavoro.

Qui, però, nella vicenda Napoli, le ambiguità, gli errori e le stranezze sono tanti e provengono da più fronti. E, come sempre, chi è in alto è colui il quale ha più responsabilità. Il paradosso della vicenda Napoli è che un anno e mezzo dopo la rottura con Maurizio Sarri, De Laurentiis potrebbe esonerare un allenatore – Ancelotti – perché i calciatori vogliono tornare a giocare come un tempo. Definirlo un fallimento progettuale sarebbe un eufemismo. Non avrebbe più alcun senso quest’anno e mezzo in cui il Napoli non ha voluto sposare la linea Marotta-Conte e cioè non ha voluto affidarsi alla visione di Ancelotti. Il Napoli ha optato per la strategia (se così possiamo chiamarla) del compromesso, per la fusione tra vecchio e nuovo. A giudicare dallo stato di Inter e Napoli, sorge il lieve sospetto che il metodo giusto sia quello scelto a Milano.

De Laurentiis ha fortemente voluto Ancelotti ma poi non ne ha sposato la visione. Ed è giusto dire che oggi, a Udine, Ancelotti dovrà affidarsi a coloro i quali hanno minato le fondamenta del suo progetto. E infatti manderà in campo gli uomini di cui ritiene possa fidarsi. Non si doveva arrivare a questo punto.

Ma non c’è soltanto questo. Perché il Maledetto United in salsa napoletana ovviamente si arricchisce di capitoli che nella storia originale non esistono. Non tutto può essere ricondotto al rapporto tra calciatori e allenatore. La crisi del Napoli, come qualsiasi grande difficoltà in un luogo di lavoro, non può essere disegnata attraverso un diagramma a blocchi, in maniera lineare. Gli affluenti sono diventati troppi.

A questa situazione si è arrivati per molti e svariati motivi. I calciatori sono strane figure, anche molto fragili. Hanno bisogno di sicurezze. E le loro sicurezze sono fondamentalmente due. Quella tecnica e soprattutto quella economica, legata al proprio futuro. Le vicende contrattuali pesano molto sulla testa dei calciatori. Quando un calciatore non ha chiaro il proprio futuro, difficilmente rende al massimo delle sue possibilità. Perché parte dei suoi pensieri sono destinati a quell’aspetto.

Figuriamoci dove vengono indirizzati questi pensieri quando accade quel che è accaduto a Napoli. Con il presidente che di punto in bianco manda la squadra in ritiro. Con i calciatori che si rifiutano di obbedire. Con una serata eufemisticamente piuttosto movimentata nello spogliatoio. Con i calciatori che tornano a casa. E qui ci sarebbe da scrivere un lungo capitolo sul mistero delle auto dei giocatori del Napoli. Che erano state portate al San Paolo perché i calciatori sapevano che sarebbero tornati a casa.

Da quella sera, si è incrinato qualcosa anche tra De Laurentiis e Ancelotti. Il presidente ha strambato. Ha seguito la sua rotta, alla Paul Cayard. Rotta che ha poi portato alle richieste di multe. Oggi nel Napoli si parla decisamente di più di avvocati, di diritto del lavoro, di contratto collettivo, che non di 4-4-2 o di 4-3-3. È successo persino nella famosa riunione di lunedì scorso tra Ancelotti e i calciatori. L’argomento principe è stato: le multe. Per distacco.

Il Napoli non vince dal 23 ottobre. Dalla sera di Salisburgo, da Insigne che dopo il gol corre dal suo allenatore e lo abbraccia, seguito da gran parte della squadra (non tutta). Sono passati 45 giorni. Uno in più rispetto ai 44 di Clough sulla panchina del Leeds. In questi 45 giorni, il Napoli ha giocato otto partite, alcune in cui i calciatori sembravano fantasmi: contro il Genoa, contro il Bologna, in parte contro il Milan. E poi una partita da leoni, ad Anfield contro il Liverpool. Sminuita da una fetta di tifosi perché è stata una partita che ha portato con sé l’onta della difesa. Poco importa essere stati l’unica squadra ad aver battuto il Liverpool e ad avere preso un punto ad Anfield.

Come se non bastasse tutto questo, stranamente dalla riunione allenatore-giocatori escono spifferi che vanno proprio nella direzione che piace ai tifosi (tanti) che indicano Ancelotti come il principale responsabile: la presunta contestazione ai metodi di lavoro. Addirittura, caso unico nella storia del calcio, i giocatori avrebbero chiesto di allenarsi di più. Nel giorno del ritiro, vengono fuori sui giornali in modo prepotente le voci sul presunto nuovo allenatore – Gattuso – che potrebbe sostituire Ancelotti. E addirittura il contratto del tecnico con la clausola dei social, ossia del Napoli che avrebbe possesso delle password dei social del tecnico. Anche questo perfettamente in linea con l’idea radicata nei tifosi. A Napoli considerano Ancelotti un signor sì venuto a obbedire pur di sistemare il figlio. Questo è l’ambiente, è inutile attardarsi in dibattiti, Napoli va presa così com’è. E la vicenda contrattuale è l’ultimo segmento che chiude il cerchio. Poi si scopre che lo scorso anno Ancelotti si è rifiutato di condividere due hashtag commerciali del Napoli sui propri social, ma la verità conta poco. “Non sporcare mai una bella storia con la verità”. E la verità a Napoli è quella che vi abbiamo brevemente descritto e cui De Laurentiis si è accodato.

Se oggi a Udine non dovesse esserci il riscatto, De Laurentiis si preparerebbe all’esonero di Ancelotti. La darebbe vinta ai calciatori che vuole portare in tribunale. Ai calciatori cui non ha rinnovato il contratto. Ai calciatori che erano legati – anche comprensibilmente – al vecchio gioco del Napoli. È superfluo ricordare – lo abbiamo fatto altre volte – che tanti e tanti anni fa Berlusconi ci mise poco a fermare la fronda dello spogliatoio del Milan contro Arrigo Sacchi.

In tutto questo c’è anche l’allenatore. Che ha commesso l’errore di non essersi imputato in sede di mercato. Di aver probabilmente sottovalutato i pericoli di una situazione che è diventata incandescente. Di aver pensato che alla fine il professionismo prevalesse su tutto. E ci mettiamo anche di non aver raggiunto un compromesso sul campo con i calciatori. In settimana, e non solo in settimana, Ancelotti è stato per distacco il tesserato del Napoli più concentrato sul campo, intento a preparare la partita che potrebbe anche segnare la rinascita della squadra. Il tesserato che per distacco avverte di più quel senso di appartenenza di cui ha parlato in settimana Galliani nell’intervista al Corriere dello Sport. Perché bisognerebbe tutti pensare prima al Napoli. Solo e soltanto così si esce dai momenti di difficoltà.

E la prossima settimana, dopo Napoli-Genk, può accadere che possa essere allontanato proprio l’uomo che più avverte il senso di appartenenza, che sta cercando di inculcare questo principio. Per tornare a un anno e mezzo fa, al 4-3-3. È fin troppo ovvio dire: tanto valeva tenersi l’originale. Senza nulla togliere a Gattuso cui ovviamente non potranno essere attribuite responsabilità.

Questo, a grosse linee, è il Maledetto United del Vesuvio. Tante e tante altre cose potrebbero essere aggiunte. Ma è un articolo e non è un libro. Per la cronaca, Brian Clough venne esonerato dopo il pareggio in casa per 1-1 con il Luton Town. Con 4 punti in classifica in sei partite (allora le vittorie valevano due punti: una vittoria, due pareggi, tre sconfitte). Il Leeds finì nono in campionato ma arrivò in finale di Coppa dei Campioni: furono sconfitti 2-0 dal Bayern. Pochi mesi dopo, a gennaio 75, Clough cominciò la sua avventura al Nottingham Forest dove rimase fino al 93 e vinse un campionato, quattro Coppe di Lega e soprattutto due Coppe dei Campioni.

Intanto oggi si gioca a Udine. Nel Napoli c’è un uomo che pensa e lavora solo al campo. Che sa che non è finita fin quando non è finita. Perché sa che è il campo il giudice supremo. Perché ne ha ribaltate tante di situazioni che sembravano disperate. Anche all’ultimo minuto. Perché è nel calcio da quarant’anni. E ha vinto e ha anche perso. E sta lavorando affinché il Maledetto United resti un caso unico.

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