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Finalmente Messi può battere Maradona

Il 25 febbraio va in scena la partita senza tempo, la grande sfida: la prima volta del Pallone d’oro nella “casa di dio”. L’ultima occasione della Pulce per uscire dal cono d’ombra del Pibe

Nel 2020 non ci sarà abbastanza storia. Almeno così dicono. Il presente è un intoppo. Napoli-Barcellona è una sfida che ha implicita dentro di sé la leggenda, e tocca disinnescare il tempo per raccontarcela meglio. Non è un semplice ottavo di Champions tra la squadra leader della Liga e la disastrata ex colonia di Ancelotti. E’ un’altra cosa, messa lì dal destino. Anzi: “da un’altra galassia”, per dirla con il tweet del Barcellona.

Napoli-Barcellona è la partita che serve a Messi per battere Maradona, il tempo e lo spazio. In un colpo solo. E’ un patto tra il caso – l’urna di Nyon – e il fato. Basta mettersi in pace col calendario: si giocherà a febbraio 2020, e nel 1982, il ritorno magari nel 1986. 180 minuti in una quarantina di anni, i tempi supplementari del mito.

Il Pallone d’Oro per la prima volta scende al San Paolo, che – ancora – superata Caserta, è onomatopea di Dio: la casa di Diego, e altre mille di queste pompose definizioni. Il tema è quello, imposto dalla cronaca e da un certo realismo che ormai determina vigilie sportive senza sogni: il Napoli non è un avversario, in questo momento, per questo Barcellona. Lo sanno loro, e infatti i giornali spagnoli definiscono il sorteggio del Barcellona “fortunato”.

L’incrocio tra passato e futuro è invece il riproduttore impossibile della grande sfida. La grande occasione di Messi per togliersi da quel cono d’ombra denso come il Das: la Pulce, il dieci dell’Argentina, che s’è portato a casa 6 volte un trofeo che a Maradona solo le regole negavano, il Pallone d’Oro. Al Camp Nou, e poi a Napoli, dove Diego ha abitato, ha vissuto, ha vinto e ha stampato l’anima al di là di ogni ragionevole dubbio. La gara a chi è il migliore. Così, facile e infantile.

E’ il biglietto andata e ritorno che Messi ha in mano per togliersi dalla clandestinità. Da quell’usurpazione sottaciuta che gli oppongono ogni volta che il paragone riprende fuoco. Può riconoscersi in una semi-infallibilità tutta sua, farsi una propria leggenda, dribblare Maradona, e via libero nella storia del pallone. Il Messi col baricentro basso e le movenze esplosive, come quell’altro. Il tocco di palla mancino, sì, come quell’altro. Il fuso orario negli spazi stretti, quella rapidità solo sua, e – vabbè – di quell’altro. Messi è nato, cresciuto, e ha vinto mettendo in fila un “lo fa solo lui” dietro l’altro, ma smentito da un’eco maledetta: “no, così lo faceva anche l’altro, forse meglio”.

Tanto che questa aderenza al suo mostro tutelare ne ha trasposto pure il personaggio. Messi non è così, ma l’hanno disegnato così finché hanno potuto. Maradona fuori dal campo è stato un auto-tormento costante, anche senza tutta la retorica che gli hanno costruito attorno. Messi no. Messi per hobby dorme. Non gioca coi videogames perché lo annoiano, e in tv, nelle serie, succedono troppe cose e poi alla fine si stanca di seguirle. Hai voglia a re-impostare sempre il copione in parallelo. Messi e Maradona sono due facce di una medaglia che gira in eterno e non cade mai a terra.

Messi è quello che con l’Argentina non vince niente. Maradona con l’Argentina ha vinto un Mondiale trasfigurandolo: s’è preso tutto, ma proprio tutto il palcoscenico. E se l’è tenuto pure dopo, quando al Mondiale in campo c’era l’altro, Messi. E lo spettacolo era invece Diego, sugli spalti. Le luci a lui, invecchiato e grasso. E l’ombra sul campo da gioco a divorare la star pezzettino dopo pezzettino.

Messi ha dovuto abituarsi ad essere uno straordinario normale. Un mito autosufficiente, imbarazzato da un confronto difficile da sanare. Su Netflix c’è ancora il documentario su di lui, è del 2014. Si chiama “Storia di un campione”. Bisogna proprio andarselo a cercare, perché per il resto è tutto un Maradona di qua, Maradona di là, su e giù, fino al capolavoro di Kapadia. Anche adesso che Messi è il presente, deve fare i conti con uno che è stato il passato, è ancora il presente e sarà probabilmente il futuro.

Tutte queste dimensioni temporali si trascineranno una volta di più in un imbuto che conduce al San Paolo il 25 febbraio 2020. Un possibile buco nero del calcio oppure, così pensano a Barcellona, una tranquilla serata di ordinaria coppa dei campioni. Ma la fame di idolatria non può che produrre questa distorsione: una partita da giocare senza contare le epoche. Come se il Napoli scendesse in campo con la maglia Buitoni. Ecco, fate conto che arriva il Barcellona di Messi e al San Paolo le gradinate sono nude, non c’è il tetto, i tifosi vanno ancora allo stadio senza fare comunicati stampa. Fate conto che quei due giochino contro, una volta e solo quella, per sempre. Quanto lo paghereste quel biglietto?

Stanno vendendola già così, Napoli-Barcellona. Gattuso, la qualificazione ai quarti, la crisi… non esistono. Non c’è partita, e non c’è storia. Il presente non basta a nessuno. La macchina del tempo ha impostato un’attesa alternativa: Messi-Maradona si gioca in un’altra galassia.

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