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Una mamma scrive a Repubblica: “Basta con l’allenatore-imperatore. Nelle scuole calcio serve il co-educatore”

Le federazioni, scrive, dovrebbero interrogarsi sulla validità educativa delle esclusioni dalle partite e anche sulla barbarie delle convocazioni

Una mamma scrive a Repubblica: “Basta con l’allenatore-imperatore. Nelle scuole calcio serve il co-educatore”

Su Repubblica la lettera di una mamma a Concita De Gregorio su un tema evergreen: i ragazzi alle prese con le scuole calcio, gli allenatori e le convocazioni alle partite. Il valore educativo delle scelte.

La signora si dichiara madre di tre giovani agonisti. Scrive che, affinché lo sport abbia davvero un valore educativo e sociale e salvi i ragazzi dalle “tante malattie” che li minacciano, occorrerebbe che “dall’allenatore-imperatore” si passasse “all’allenatore co-educatore”.

Quella dell’allenatore, scrive, è una vera e propria dittatura, al momento. Si esterna nelle scelte di campo e nella prassi terribile delle convocazioni alle partite.

Che valore ha, dal punto di vista educativo, chiede, che due o tre ragazzi siano costretti a restare in panchina mentre i loro compagni giocano in campo? Che senso ha la loro esclusione? Magari sosterrann i loro compagni in azione, ma resteranno

“sempre imbarazzati e mortificati per la propria posizione”.

Essere messi da parte per 20 o 30 partite l’anno è davvero un’esperienza formativa, per questi giovani tra i 10 e i 15 anni? Nel momento in cui iniziano a comporre i pezzi della loro identità sociale e personale?

Le federazioni dovrebbero interrogarsi sul punto, perché le lacrime trattenute in panchina non fanno crescere, “mortificano e basta”.

La mamma descrive anche la dittatura delle convocazioni,

“un termine che noi, genitori di sportivi, temiamo come gli avvisi giudiziari”.

Scrive:

“La convocazione avviene, di regola, un giorno prima, al massimo due. “È la norma”, dicono gli allenatori-imperatori, mentre i genitori-spettatori attendono la convocazione come una condanna, che manderà a monte programmi, progetti, speranze. Si costringe a scegliere, insomma, tra lo sport e tutto il resto”.

Ma i ragazzi di 10 anni dovrebbero vivere tutto ciò che può ampliare la loro mente e questa prassi è “irresponsabile e perfino ottusa e pericolosa”.

Solo pochi, tra questi ragazzi, diventeranno degli sportivi. La maggior parte abbandonerà, anzi, sarà abbandonata,

“quando sarà evidente che non hanno talento a sufficienza. Allora dovranno riprendere in mano la propria vita, in cerca di un’altra passione, che più saranno grandi più sarà difficile trovare. Gli allenatori e le federazioni sportive dovrebbero rifletterci”.

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