ilNapolista

Ponte Morandi, i sensori che avrebbero dovuto monitorare il rischio crollo erano fuori uso dal 2016

Erano stati tranciati durante dei lavori nel 2016 e mai più sostituiti. La valutazione di rischio ridotta da Autostrade a “perdita di stabilità” non poteva essere attendibile

Ponte Morandi, i sensori che avrebbero dovuto monitorare il rischio crollo erano fuori uso dal 2016

Il documento che la Guardia di Finanza ha trovato nel registro digitale di Atlantia certificava già dal 2014 che il Ponte Morandi fosse a rischio crollo. Il viadotto sul Polcevera era l’unico tra tutti i viadotti italiani ad essere citato nel catalogo rischi societari di Autostrade per l’Italia e Atlantia.

Il giallo dei sensori

Autostrade contenne la valutazione di rischio crollo al livello basso perché, così dice il documento, il monitoraggio dei sensori suggeriva di farlo. Ma quei sensori, si scopre, non funzionavano da due anni prima del crollo del 14 agosto.

La notizia è oggi su tutti i giornali. Sono stati ritrovati tra le macerie, caduti insieme al ponte, senza dare alcun segnale. La ditta Pavimental, nel 2016, effettuando dei lavori sulla sede stradale per conto di Autostrade li aveva tranciati, dunque resi inutilizzabili.

Nel 2017 Autostrade si rivolse al Politecnico di Milano perché effettuasse uno studio sui tiranti del pilone 9 (quello crollato). Prima del famoso intervento di retrofitting che sarebbe dovuto partire nel novembre di quell’anno (ma il ponte crollò prima).

Come già scritto in passato, il Politecnico rilevò diversi problemi su quel pilone e suggerì ad Autostrade di installare nuovi sensori. Ma la società non lo ha mai fatto. Aveva deciso di farlo in occasione dell’avvio dei lavori di ristrutturazione previsti dal progetto di retrofitting.

Una valutazione falsata

In sostanza, la valutazione di rischio sul Morandi è stata tenuta bassa su presupposti falsati, visto che i sensori a cui fa riferimento il documento erano stati scollegati durante alcuni lavori sulla carreggiata. Non solo: dal 2013 nessuno entrava nei cassoni e poi ci sono i report Spea, redatti in fotocopia.

Per la procura, il documento di rischio veniva dunque compilato sulla base di sistemi di monitoraggio non sufficienti a capire in che stato fosse davvero il Ponte. Eppure il rischio crollo non era stato preso in considerazione. E’ sulle motivazioni di questa potenziale negligenza che gli inquirenti si stanno concentrando. Una delle ipotesi è che si dovesse risparmiare sui costi di gestione, e che una chiusura parziale o totale della struttura potesse influenzare l’entrata nell’asset aziendale di nuovi soci cinesi e tedeschi.

Il documento di programmazione del rischio stilato dall’Ufficio rischio di Autostrade è passato sui tavoli di tutti i cda di Aspi e Atlantia, ai quali tra l’altro sedeva anche un funzionario del Ministero dei Trasporti. Dal 2014 al 2o16 per il Morandi si parlava di “rischio crollo”. Dal 2017 si trasformò la dicitura in “perdita di stabilità”. Come mai il progetto di retrofitting è stato sottoposto alla valutazione del Provveditorato solo nel febbraio 2018 se il rischio era certificato già da 4 anni?

La risposta di Autostrade sui sensori

Anche sulla questione sensori è intervenuta Autostrade con una nota.

“In merito alle ricostruzioni apparse sui media relative ad alcuni sensori che erano presenti sul Ponte Morandi la società ricorda che nessuna delle analisi svolte sul viadotto Polcevera, anche da qualificati soggetti terzi, aveva evidenziato allarmi sulla sicurezza dell’infrastruttura. Autostrade per l’Italia dichiara di essere il primo soggetto interessato affinché vengano chiarite eventuali responsabilità, sia in sede di incidente probatorio che successivamente nell’ambito del processo”.

Sui sensori si espresse già, esattamente un anno fa, il perito di Autostrade, Giuseppe Mancini. Intervistato da Report dichiarò che anche con i sensori il Ponte sarebbe crollato lo stesso. Disse:

“Quei sensori di cui si parla, che misurano le vibrazioni degli stralli, da soli non dicono nulla. Non si sarebbe visto che il ponte stava per crollare”

Sul fronte interrogatori, ieri mattina è stato sentito uno dei tecnici Spea indagati per falsi report, Carlo Casini. L’ex amministratore delegato Spea, Antonino Galatà si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Oggi sarà la volta di altri due dirigenti di Spea: Serena Allemanni e Massimiliano Giacobbi.

ilnapolista © riproduzione riservata