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Napoli, gioca. Le cose potrebbero migliorare

Il Napoli, si sa, è una squadra con assai poca autostima. E chi ne ha poca quel briciolo lo perde anche facilmente. Poi, ci si sono messi anche gli arbitri

Napoli, gioca. Le cose potrebbero migliorare

Potranno viversi ancora milioni di altre storie intorno a questo nostro adorato pallone ma la curiosità dei più rimarrà sempre quella di conoscere il colpevole. Il calcio più che come un largo romanzo è vissuto come uno strettissimo Cluedo. Di chi è la colpa del fallimento? Chi è l’assassino dei nostri legittimi sogni?

I fatti, questi inutili orpelli dell’esistenza, possiamo dimenticarceli. Il fatto, ad esempio, che siamo a novembre. Che una stagione in cui il Napoli si qualifichi in Champions arrivando a disputarne un quarto o una semifinale sarebbe un passo avanti; o che un Napoli quarto e con una Coppa Italia in bacheca sarebbe un progresso importante. Tanto per fare degli esempi mentre la quarta è, tutto sommato, a tre punti.

Il Napoli, si sa, è una squadra con assai poca autostima. E chi ne ha poca quel briciolo lo perde anche facilmente. Era quasi facile prevedere un ottimo piglio contro l’Atalanta, ma era altrettanto semplice preventivare la prestazione scialba a Roma: certo, il manuale del bravo calciatore prevede che la delusione si tramuti in rabbia e la rabbia in vis agonistica – ma la retorica la lasciamo ai mediocri. Il Napoli, infatti, è una squadra che prende i pali. In città, ai miei tempi, lo si diceva di chi falliva l’approccio con una ragazza. Non so se lo si dica ancora tra gli adolescenti, ma all’epoca “prendere i pali” era una stigmata peggiore di una bocciatura a scuola. Non so se in città siano cambiate le cose ma quelli della mia generazione, quelli dai trenta ai cinquanta, dovrebbero essere ben preparati al peso psicologico dei pali, visto che ne abbiamo presi talmente tanti in vita che Massimo Troisi, per celebrare l’attitudine e l’abitudine napoletane al fallimento annunciato, su tale ridicolo schema di approccio ad una ragazza confezionò uno sketch geniale in tv.

I pali si prendono quando si osa – il Napoli li ha presi quando ha trovato allenatori che hanno spinto questa squadra ai propri limiti strutturali. La maglia azzurra è andata in pericolosa risonanza anche con Benitez, ultimo allenatore vincente, che voleva andare in finale di coppa con Gargano. Ci arrivò vicino, poi la stagione si concluse con un motore sfasciato (in quei mesi non si prendevano pali ma si fallivano rigori) ma qualche esperienza in più – e l’esperienza, come disse lo stesso tecnico spagnolo in fase di commiato, non è ciò che hai vissuto ma ciò che decidi di fare con quanto hai vissuto.

Come se non bastasse, nel carrozzone comico del pallone nostrano gli arbitri hanno iniziato a dirci che, se la fortuna non gira, la colpa è nostra. Che loro non fischiano perché commettiamo più errori dei giudici stessi. Gli arbitri da quest’anno, infatti, seguono una interessante regola occulta: si fischia rigore solo se la squadra danneggiata ha sbagliato poco. Dal canto nostro, per uscire da questo mirabile corto circuito mentale dovremmo muoverci con totale compattezza di intenti. Fornire a questa squadra un lascia passare basato sulla condivisione dei dolori e la fiducia per il domani. Invece il mondo è un enorme salotto di inutili cicale che cianciano ma non mordono perché, come la storia insegna, nessuno dà ciò che non ha. E gli osservatori del calcio – questo è altro dato di fatto inconfutabile – non hanno.

Per chi ha avuto la fortuna di assistere all’ultima stagione del serial Peaky Blinders, vale la lezione ricevuta dal protagonista Thomas Shelby che offre ad un ex commilitone della Grande Guerra, ora orrendamente rinchiuso in una cella di manicomio a tempo indeterminato, la via al suicidio, la presa d’atto del fallimento. Il farla finita. Il compagno, in camicia di forza, chiuso in tre metri per tre al buio pesto, si rifiuta dicendogli: “Le cose potrebbero migliorare”. Se Shelby fosse vissuto a Napoli, invece che a Birmingham, la serie, invece di cinque stagioni, sarebbe durata mezz’ora.

La strada è lunga. La posta ancora in palio. Tu gioca, Napoli. Gioca. A noi tocca solo riempire questo stadio e lasciare le cicale ai cancelli di ingresso. Le cose potrebbero migliorare.

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