Ora toccherà a lui, con i suoi metodi, riportare la squadra sulla retta via. Squadra che, con un gesto clamoroso, si è compattata, si è assunta le proprie responsabilità e ora è con l’allenatore
La due giorni di autolesionismo del Napoli si è chiusa oggi pomeriggio intorno alle 15 con un comunicato ufficiale della società. Un comunicato che potremmo definire tautologico: affida all’allenatore il compito di valutare la possibilità di portare la squadra in ritiro. Insomma restituisce all’allenatore i pieni poteri che per 48 ore sono stati bruscamente e ostentamente messi in discussione.
Aurelio De Laurentiis, di fatto, almeno per il momento, fa un passo indietro. Politicamente non ne esce benissimo, per usare un eufemismo. Lunedì, due giorni dopo la sconfitta con la Roma, con un atto d’imperio annuncia che la squadra sarebbe andata in ritiro fino a domenica. Lo definisce ritiro costruttivo e non punitivo.
Che cosa ottiene?
a) Dopo 24 ore, incassa la pubblica contrarietà dell’allenatore. Non sappiamo se sia stata la prima volta, di certo non è successo tante volte che Ancelotti si è pubblicamente schierato contro una decisione del proprio club. A Napoli non era mai accaduto. E parliamo di un allenatore che condivide i principi fondamentali del club. Che, a differenza di Antonio Conte – tanto per dirne una – non ha mai detto una parola sulla rosa, anzi ha elogiato il mercato della società. Un allenatore che a Napoli è guardato con diffidenza proprio per il suo aziendalismo.
b) Rende più inquieto lo spogliatoio già di suo poco tranquillo per gli insufficienti risultati fin qui ottenuti in campionato. E lo fa alla vigilia della partita di Champions che potrebbe regalare la qualificazione agli ottavi con due turni di anticipo. Mette dunque a rischio uno degli obiettivi principali della stagione: il passaggio del turno e l’ingresso del Napoli tra le prime sedici squadre d’Europa.
c) Provoca quella che è probabilmente la prima, vera, rivolta mediatica di una squadra contro il proprio club. A memoria non si ricorda uno spogliatoio protagonista di un ammutinamento simile. Sì, a Napoli, nel 1988 avemmo la rivolta contro Bianchi. Simile ma non proprio uguale.
d) Dopo l’ammutinamento, è costretto ad accettare il rifiuto dei calciatori, e a rimettersi nelle mani dell’allenatore. Lo fa in un comunicato in cui fa riferimento a possibili azioni legali nei confronti degli ammutinati di Castel Volturno. Comunicato che però sancisce la vittoria dei ribelli.
e) Consegna il Napoli a una tribuna mediatica di cui si sarebbe fatto volentieri a meno, visto che pochi giorni prima società, allenatori e giocatori avevano lanciato – compatti – una battaglia politica per i torti arbitrali subiti. È come se De Laurentiis avesse lanciato il seguente messaggio: “abbiamo scherzato, gli arbitri non c’entrano niente, il Napoli va male per motivi interni”. Non proprio una brillante mossa politica. Sempre per rimanere alla figura retorica dell’eufemismo.
f) Volendo, e per trovare almeno un aspetto positivo, De Laurentiis ha improvvisamente guadagnato consensi tra i tifosi. L’attacco più o meno diretto ai calciatori milionari regala sempre, almeno, una decina di punti percentuali. Più o meno come la promessa di ridurre le tasse all’ultimo secondo di campagna elettorale.
In realtà di aspetto positivo ce ne sarebbe anche un altro. L’uscita di De Laurentiis ha – non sappiamo quanto volontariamente, se così fosse sarebbe stata una genialata – prodotto due effetti difficilmente raggiungibili: ha compattato la squadra e soprattutto indotto i calciatori a uscire allo scoperto e ad assumersi responsabilità. Si sono resi protagonisti di un gesto clamoroso – la disobbedienza a un ordine aziendale – e adesso devono assumersene tutte le conseguenze. E inoltre ha unito squadra e allenatore che pure nelle scorse settimane erano stati protagonisti di dissidi anche plateali (basti pensare alla panchina di Insigne a Genk). Tornando alle conseguenze positive – volontarie o involontarie – ha dato anche un nemico al gruppo che magari in questo modo rende di più e meglio. Come peraltro accaduto anche dopo la famosa esternazione di Madrid.
Se escludiamo l’aver voluto ricompattare lo spogliatoio e il rapporto tra squadra e allenatore, restano misteriose le motivazioni che hanno indotto De Laurentiis a una guerra lampo che avrebbe potuto avere conseguenze sportivamente drammatiche in caso di sconfitta interna ieri sera col Salisburgo. Il Napoli avrebbe potuto giocare una partita in serenità e magari festeggiare già ieri il passaggio del turno. Per fortuna, i danni sono stati limitati. Un pareggio resta un buon risultato dopo la vittoria in Austria.
Adesso sta alla squadra dimostrare sul campo quanto vale, e sta all’allenatore portarli a rendere di più con i metodi che ritiene più idonei. C’è anche la versione secondo cui adesso Ancelotti non avrebbe più la protezione della società. Ma anche qui andrebbero fatte delle valutazioni. Il Napoli pensa e lavora esclusivamente per il bene del Napoli. Ed è davvero dura pensare di trovare un allenatore che possa subentrare e migliorare il rendimento di Ancelotti. Francamente si tratta di un rischio che non è da De Laurentiis che resta – per chi scrive – un presidente modello, l’indiscutibile artefice del miracolo-Napoli.
Ci sarebbe da sondare anche un altro aspetto, stavolta più psicanalitico. Perché De Laurentiis a un certo punto avverte l’insopprimibile esigenza di rovinare i rapporti con i propri allenatori? È come se fosse divorato da un demone della distruzione. Probabilmente dopo la pessima prestazione di Roma si è spaventato. Ma avrebbe dovuto aspettare. Ha inutilmente esposto il Napoli a una figuraccia mediatica, non ha portato a casa gli ottavi di finale in Champions, ha ottenuto la prima frattura pubblica tra sé e l’allenatore. What else? direbbe George Clooney. Per fortuna Aurelio De Laurentiis è un imprenditore e non fa politica.