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Napoli è Joker: le servirebbe il bigliettino “Perdona la mia risata, ho una malattia”

Ancelotti, che ne ha viste tante, ha centrato subito il discorso: la sofferenza. A Napoli la sofferenza è una entità sconosciuta. È una città che ha il terrore di confessare al prossimo di star benino

Napoli è Joker: le servirebbe il bigliettino “Perdona la mia risata, ho una malattia”

Se anche a voi è capitato, negli ultimi giorni, di sentirvi ballonzolanti nel budello di una metropolitana di Gotham City mentre passavate gli occhi sulle cronache calcistiche cittadine, non allarmatevi. Siamo stati tutti scritturati per il lungometraggio del momento in qualità di protagonisti o figuranti della critica condizione neurologica di Joker (film solo discreto, secondo il mio parere da profano, ma tenuto in piedi da un gigantesco Joaquin Phoenix). Napoli ha un meccanismo di riflesso “al contrario” che è difficile spiegare se non hai a disposizione né un cartella clinica né il talento necessario di Joaquin. Napoli ride quando desidera piangere. Piange per significare che vuole ridere. Ha il terrore di confessare al prossimo di star benino per cui ride quando sente di poter finalmente assicurare l’altro di provare qualche dolore. Alla città di Napoli, come al povero Arthur Fleck del film, andrebbe dato un gigantesco biglietto plastificato da passare agli astanti, agli osservatori, ai politici, agli scrittori, ai critici e agli amanti di questa città, su cui sia scritto: “Perdona la mia risata, ho una malattia”.

Il Maestro Carlo, che ne ha viste tante e di ben più complicate, ha centrato subito il discorso: la sofferenza. A Napoli la sofferenza è una entità sconosciuta. Da sub e ferere, non si sa portare su di sé. Per caricarsi un peso bisogna concentrare le forze e disinteressarsi del passato e dei presagi sull’avvenire. L’Amleto di Shakespeare – un po’ più grande del Joker ma almeno altrettanto pop –, che disse «L’esistenza di un uomo non è che il tempo di contare “uno”», risponde così ad Orazio: “Se adesso è la mia ora, vuol dire che non è più da venire; se non è da venire, sarà adesso; se non è adesso, dovrà pur venire. Tutt’è tenersi pronti.” The readiness is all, scrive il poeta immortale, che è quanto Mr Ancelotti sta lentamente cercando di insegnare a noi, quelli della città della tragedia permanente, che in quanto permanente vive del tempo. Insegnarci che non siamo nessuno ma se ci teniamo pronti, caricandoci il peso della nostra insignificanza, vivremo qualcosa.

Napoli non soffre, né dentro né fuori dal campo. Vive di isterie perché costantemente sfasata, opposta allo scorrere dei giorni. Millenni di storia non sono serviti ad insegnarle l’inganno del tempo. Forse è anche colpa di chi finge di non accorgersene. “La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi”.

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