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Napoli, impara a tacere. E se ci riesci, apprendi

Le sirene da cinquecento euro a gettone continuano a decantare le tue lodi, a dirti che sei irripetibile, incompresa, inarrivabile. Non è così

Napoli, impara a tacere. E se ci riesci, apprendi

Il massimo insegnamento per la Napoli del periodo ancelottiano è l’arte dell’imparare a fare silenzio. Del lasciare spazio, del lasciar avanzare altro, del non dire la propria. Napoli l’ha detta spesso e l’ha detta male.

Iniziare con l’apprendere il compito profondamente complesso del discente, di chi deve essere tirato fuori da una situazione di stallo, di ignoranza, mentre le sirene da cinquecento euro a gettone continuano a decantare le tue lodi, a dirti che sei irripetibile, incompresa, inarrivabile, solo in attesa della giusta chiave di lettura: perfetta.

Bene, non lo sei, Napoli. Devi stare in silenzio ed imparare. Devi andare in tribuna quando serve. E, credimi, puoi farlo. Come l’hanno fatto in tanti altri. Non sei speciale e, del dove dovrà giocare chi, non sta né starà a te ragionarne. La decisione giace nel processo di maturazione di un allenatore che tu non conosci e sul quale devi tacere – imparando l’educazione, come ha detto un presidente. L’educazione, oggi, pare debbano insegnarla i presidenti. Bisogna infatti abbracciare l’educazione per imparare ad essere educati da chi deve insegnarci.

Un altro grande insegnamento del Carlo napoletano è la necessità di imparare ad apprezzare e convivere con la noia. Viviamo un tempo in cui non solo sul campo di gioco ma anche nella cronaca si approntano analisi sciatte per il piacere di fornire immediatamente un punto di vista. Come se ce ne fosse penuria. Un gruppo di ragazzi crea una chat per scambiarsi video e immagini vigliacche prima ancora che violente, e si titola immediatamente “ragazzi annoiati”. Si ha già la soluzione in tasca prima ancora di raccontare la storia. Si ha l’ansia di suggerire il modulo da adoperare prima ancora di ascoltare le parole di chi dovrà giocarlo. E forse ci si sbaglia di grosso perché a rendere orrenda la nostra vita più che la noia è l’incapacità di sopportarla – sopportare (che bella parola, più del cuoco di Sciosciammocca) richiede silenzio. Il silenzio richiede noia.

Non esiste più educazione all’oziare, al non fare, alla solitudine – anche per questo motivo non si capisce chi quella strada l’ha percorsa e ora, per forza di cose, siede su una panchina e una montagna di trofei. Questa valanga di inutili commenti, di ancora più vuote considerazioni sulle telefonate immaginate, i parenti chiamati in causa, specie quando si affaccia la sosta del campionato, è indice di un terrore della noia che ci assale – ecco che si accorre a produrre le proprie tre righe di commento ovunque sia possibile, nell’orrore di rimanere soli ed irrilevanti – ma “religione è ciò che fai della tua solitudine” scrisse un giorno Whitehead e Napoli in questo è una città senza più religione.

Il tuo compito, Napoli, è fare silenzio. Imparare. Camminare al fianco di chi ha l’esperienza e la conoscenza per condurti dove generalmente ti rifiuti di andare – nel tedio dell’allenamento ben fatto, nel freddo di un sedile di tribuna mal sopportato, nel mezzo di uno stadio nel quale non ci sentiamo più totalmente a nostro agio. Napoli, devi tacere e studiare. Passare velocemente i tuoi corsi di recupero. Non è più il tempo in cui puoi mostrare al mondo, è il tempo in cui devi assorbire decenni nei quali sei rimasta nel terrore di non sopravvivere. Il maestro ce l’hai. Prendi la bici. Zitta e pedala.

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