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I tiri a giro sono figli della cultura del posto fisso che ancora resiste nel Napoli

Al Napoli di Ancelotti manca il terrore della precarietà che spinge i singoli all’impresa. Serve chi chiuda le porte ai furbetti del cartellino

I tiri a giro sono figli della cultura del posto fisso che ancora resiste nel Napoli

Non c’è da girarci troppo intorno. Al Napoli di Mr Ancelotti manca la paura. Il terrore della precarietà che spinge i singoli all’impresa e la cui assenza, sperimentata nella seconda metà della scorsa stagione, conduce ad un progressivo ed inarrestabile letargo. Questa è la preoccupazione del nostro allenatore.

Lorenzo Insigne calcia a tratti quel pallone col senso di routine flemmatica cui è aduso l’impiegato comunale che fa le carte d’identità negli uffici agostani. Già sai che ci proverà, che ti prenderà il pallone, preparerà il piede come si prepara il timbro e che poi ti dirà di ripassare tra due settimane perché la connessione dati è interrotta e si aspetta il tecnico imbottigliato nel traffico del tratto Battipaglia-Pontecagnano. Milik di tanto in tanto vive i propri errori con la rassegnazione impiegatizia del geometra Vannini che si prepara alla corsa ciclistica del Visconte Cobram e poi parte per la tangente in curva piombando sul tavolo di una festa paesana. Il calore materno del posto fisso riscalda troppi cuori tra gli azzurri – un’ottima squadra per la quale dobbiamo auspicare almeno un grande colpo di mercato, una pedina che infranga tutti questi ed altri equilibri posticci, stracci i cartellini da calcio fantozziano che ogni tanto si scorgono tra le fila azzurre. 

Nel dibattito cittadino (non esistente) troppo è vincolato alle lotte tra bande locali. C’è chi attacca il capitano azzurro perché non è sufficientemente chic e chi attacca chi lo critica per la mancanza di gusto invocando la proverbiale puzza sotto al naso; c’è chi lo ha fischiato e chi attacca chi lo ha fischiato, chi lo difende perché napoletano e chi lo odia per lo stesso motivo. All’ombra del Vesuvio è tutta battaglia di retroguardia nel totale disinteresse dell’attualità. Mentre Mr Carlo guarda all’oggi. Il suo James, o chi per esso, gli serve da ariete per staccare contratti a progetto da non più di novanta minuti per giocatori che ad oggi sentono di avere firmato invece un vitalizio, aiutati in questo dalla distanza ancora oggettivamente importante dalla Juventus. L’impressione è che laddove De Laurentiis cerca una leva quasi letteraria per i sogni dei tifosi, Ancelotti cerca il rompighiaccio necessario a crepare questo strato di sonnolenza latente che porta la squadra a prenderne improvvisamente quattro dal Barcellona.  

Al Napoli serve il peso dell’incertezza che giunse dalle nostre parti nel primo anno di Benitez e che provocò un grande salto verso l’ignoto e la sua meraviglia – oltre a partorire il celebre dibattito sulla posizione di Hamsik (ormai discusso in tutte le principali accademie del mondo) che non faceva altro che mascherare la paura che lo slovacco dovette provare una volta trovatosi in mezzo al campo, con tante responsabilità, finalmente attorniato da ottimi palleggiatori e privo della sicurezza di un posto fisso, scatenando così i pianti inconsolabili di larga parte dei cuori cittadini. Serve insomma chi chiuda le porte ai furbetti del cartellino, ciò che tutto noi diventiamo quando manca il collega che viene da lontano, che ne ha viste tante, che conosce il boss e che non ha intenzione di perdere il proprio bonus per assecondare la leggerezza di un veterano.

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