ilNapolista

Vita di James. L’arrivo in Europa

La quarta puntata della biografia del colombiano che Ancelotti vuole portare al Napoli. Il suo arrivo al Porto e la presa della maglia numero 10. Il matrimonio con Daniela. La nascita di Salomè. La beneficenza. Un ragazzino diventato un’industria

Vita di James. L’arrivo in Europa

Un calciatore diventato un’industria

Già il giorno dopo la vittoria in campionato con il Banfield, cominciarono ad arrivare le prime offerte: il Porto, l’Español, la Juventus, l’Udinese. Proprio ai friulani la commissione direttiva del Banfield aveva ceduto James per 3 milioni di dollari, ma la famiglia aveva in testa il Porto. I latinoamericani lì avevano una storia, l’ultimo a esserci passato era Falcao. Juan Carlos convinse il suo figliastro a iniziare a studiare il portoghese. James intanto continuava a segnare e fare meraviglie. Ma per sua stessa ammissione aveva la testa all’Europa. Un giorno una ragazzina si presenta al campo col papà per avere un autografo. Senza nemmeno accorgersene James si accosta a una stufa e si brucia la gamba sinistra, all’altezza del tatuaggio di Cristo. Firmò il contratto con il Porto il 6 giugno del 2010: 7,3 milioni di euro. Per la prima volta la famiglia capì che James era diventato un’industria. Ma il traguardo raggiunto spaccò la coppia dei genitori. Juan Carlos scelse di tornare a lavorare a Bogotà, Pilar tornò a Medellín con l’altra figlia Juana Valentina. Una separazione pacifica, ma per James un altro dolore.

Il contro-potere del Porto

In Portogallo, il Porto è la squadra del contro-potere. È l’anti-Benfica. L’amico Pipe Gòmez lo chiamò per ricordargli che era arrivato il momento di mettersi all’altezza di un Figo, di un Cristiano Ronaldo. “Soy listo” rispose James. Sono pronto. In squadra altri due colombiani: Fredy Guarin e – appunto – Radamel Falcao. L’acquisto di James coincise con l’arrivo in panchina di un nuovo allenatore André Villas-Boas. Era stato nello staff di Mourinho all’Inter. James aveva 18 anni. La maglia con il numero 10 apparteneva a un altro Rodríguez, l’uruguayano Cristian. Così James prese la numero 19. Era lo stesso numero che aveva all’Envigado, era l’età che aveva stabilito avrebbe avuto quando sarebbe riuscito a indossare la 10. Un anno ancora. Era un obiettivo.

Il matrimonio

Con Daniela faceva lunghe chiacchierate via Skype. James si era innamorato di lei, dolce e sicura allo stesso tempo. Sapeva di non poterle chiedere di lasciare la carriera da pallavolista per seguirlo. Quell’estate, l’estate dei Mondiali in Sudafrica, James vide che in tv Ronaldo e il resto della nazionale portoghese portava al braccio il segno nero del lutto. Scoprì in quel momento il nome di José Saramago, lo scrittore portoghese morto il 18 giugno, un uomo secondo il quale lo sport trascende la letteratura, una terribile passione che fa dimenticare i grandi problemi dei paesi, specialmente in Colombia, aveva detto un giorno. L’atmosfera malinconica di Oporto lo contagiava. Passavano le settimane e vedeva poco il campo. Si consolò comprando una Bmw 750 bianca. Il modello preferito da James Bond. I James cominciavano a ossessionarlo. Si attaccò a Internet per sapere tutto di James Dean, una delle icone dell’adolescenza perduta. I preparativi per il matrimonio lo coinvolgevano. Nove giorni prima del rito civile, il 15 dicembre 2010 James segnò finalmente il suo primo gol ufficiale nel calcio europeo, nel 3-1 del Porto contro il Cska Sofia. Il viaggio di nozze venne rinviato. La priorità era sfondare nel nuovo calcio. Convincere tutti che ne era all’altezza. Daniela si cercò una squadra di pallavolo in Portogallo. Inutilmente. Prese in considerazione l’idea di fare altro. Si mise a studiare amministrazione di impresa. Nel vederla così decisa, James si fece tentare dall’idea di prendere lezioni di ingegneria elettronica. Teneva loro compagnia un cane, un labrador, lo chiamarono Manolo.

La fede. E Cristiano

La preghiera era l’altro elemento che li univa. James è un lettore assiduo delle pagine del Vangelo. “Dio mi aiuta e mi accompagna” dice. Legge prima di uscire di casa e nello spogliatoio prima di salire in campo. Al Porto erano cristiani anche Falcao e il difensore Balanta. Daniela chiamava James “il mio guerriero”. Il 3 aprile con cinque giornate d’anticipo, il Porto fu campione con tutti e tre i suoi colombiani in campo. Poi la Supercoppa di Portogallo. Poi l’Europa League. Poi la Coppa di Portogallo con tre gol di James, che raggiunse anche la convocazione della nazionale under 20 per giocare il Mondiale organizzato dalla Colombia. Nella stessa squadra anche Duvan Zapata. Uscirono ai quarti di finale contro il Messico. Alla fine della stagione, al compimento dei 19 anni, a James il Porto diede la maglia con il numero 10. Il Guerin Sportivo assegnò a James il premio come miglior giocatore sotto i 21 anni d’Europa. Una voce lo accostava al Manchester United. James aveva in testa il Real Madrid. Una sera, al ristorante, gli parve di riconoscere da lontano Cristiano Ronaldo e nell’avvicinarsi vide l’uomo andargli incontro e dirgli: “Ciao James, piacere di conoscerti”. Era lui. Ronaldo disse che in tv guardava spesso il Porto, lo conosceva, lo ammirava.

L’altruismo

L’immagine di James cominciava a essere legata a grandi marchi. Come l’Adidas. James cominciava a differenziare gli investimenti. Diventò socio in un ristorante e in locale di tapas. Nel museo del Porto esiste tuttora un’area dedicata ai colombiani che hanno vestito la maglia del club. James è un simbolo permanente. Uno degli aspetti meno noti di James è la sua disposizione alla solidarietà. Donazioni, attività benefiche, eventi per raccolta di fondi. Una inclinazione cresciuta dopo il 29 maggio 2013, giorno di nascita di sua figlia Salomé, nome che James si è tatuato sul braccio destro, stessa cosa fatta da sua moglie Daniela. Vollero che la bambina nascesse in Colombia. James era ormai popolarissimo. Con gli inconvenienti che tutto ciò comporta. Poco prima dei Mondiali di calcio del 2016 in Brasile, in piena campagna elettorale in Colombia, James ha dovuto avvertire via Twitter che non sosteneva nessuno dei due candidati. Esistevano pubblicità con il suo sostegno su entrambi i fronti.

(fine quarta parte – continua)

 

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

ilnapolista © riproduzione riservata