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Vita di James. Il contratto dopo i gol dal calcio d’angolo

La seconda parte del racconto sul 10 colombiano che Ancelotti vuole al Napoli. Le vittorie nei tornei giovanili. Quella volta che fece la conoscenza con il mare. La prima offerta e la sua prima squadra vera: l’Envigado

Vita di James. Il contratto dopo i gol dal calcio d’angolo

Il divo dei tornei giovanili

Per l’età che aveva, pochi bambini avevano viaggiato così tanto. Sempre in pullman, in giro per la Colombia, per tornei di calcio giovanili. Prima che gli fosse consegnata in modo definitivo la maglia numero 10, James portava il 16. Ogni settimana c’era un viaggio che andava dalle quattro alle otto ore. Ibagué è distante dai due mari su cui si affaccia la Colombia. I pullman in marcia erano sempre due. Uno con i ragazzini, l’altro con i genitori. Non erano anni di trasferimenti facili e sereni. C’erano zone del paese a cui i militari negavano l’accesso dopo le sei della sera. Poteva succedere che fosse necessario dormire fuori, molto spesso in casa dei genitori dei piccoli avversari.

Sono due i viaggi, racconta Padilla nella biografia “James su vida”, che Rodríguez non avrebbe mai dimenticato. Il primo gli fece conoscere la realtà del Deportivo Cali: campi con l’erba tagliata, spogliatoi in ordine, palloni gonfi. Il secondo a Barranquilla, 18 ore in pullman. Furono sul punto di cancellarlo. Alle sei del mattino, ora della partenza convenuta, l’autista non si presentò. Si era fatto pagare in anticipo 3 milioni di pesos per aggiustare l’aria condizionata e il televisore. Ma in strada non c’era. Alle tre del pomeriggio finalmente fu possibile trovare altri due bus e partire. La comitiva giunse dall’altra parte del paese quando era già iniziata la cerimonia inaugurale del torneo. Il girone eliminatorio andò alla grande. James stava imparando a reggere la pressione che le grida dagli spalti del suo padrigno gli mettevano. Al primo giorno di riposo del torneo, i ragazzini passarono a incassare il premio che credevano di aver meritato. Andare a conoscere il mare.

Il bagno a Barranquilla

James, come tanti insieme a lui, non lo aveva visto mai. Vinsero la resistenza dell’allenatore, che pretese ci fosse almeno un familiare per ogni ragazzino. E una volta sulla spiaggia cadde pure il secondo divieto: fare il bagno. Fu impossibile fermarli. Si tuffarono. Chi saltava fra le onde, chi nuotava. La felicità di aver conosciuto il mare rimase nella gambe. Persero 2-1. Fu uno dei pochi tornei che non riuscirono a vincere. Ma James fu eletto miglior calciatore e dopo altre 18 ore in pullman tornò a Ibagué.

Frequentava una scuola cattolica. La sua fidanzata era la palla. La cosa più difficile fu insegnargli che non poteva vincere sempre.  Era nel pieno di un conflitto affettivo. Se qualcuno gli parlava di Wilson, il suo padre biologico, James non riusciva a nascondere l’orgoglio di saperlo buon giocatore del Tolima e della nazionale giovanile di Colombia ai Mondiali in Unione Sovietica del 1985: fuori ai quarti di finale contro il Brasile di Taffarel e Silas. Tra i pali di quella Colombia giocava un diciannovenne di Medellin, un ragazzo estroso, René, che il mondo avrebbe poi conosciuto come Higuita. Ma davanti agli altri, James non parlava mai di Wilson. Suo padre per tutti era l’ingegnere, al quale obbediva senza fare storie.

Ciao Totti, ora c’è Ronaldo

Nelle pagine del suo libro Padilla mostra di aver consultato anche i registri scolastici di James di quel periodo. Raccontano una serie di insufficienze in matematica e inglese, prendeva 6 in humanidades scienze musica religione; eccelleva in disegno, tecnologia, informatica, educazione etica, educazione fisica. Aveva perso un anno per 40 ore di assenza. Nel 2003 rimase a scuola solo per la metà del percorso.

Il calcio gli stava portando via tutto il resto. Cominciava a far parte delle selezioni regionali di Tolima e fu in quel periodo che giunse la notizia: il suo compagno di squadra César Nuñez era stato preso dall’Atlético Nacional. Significava due cose. La prima: era possibile farcela, perché uno di loro ci era riuscito. La seconda: quello che ce l’aveva fatta non era lui. Perciò bisognava impegnarsi ancora di più. Il suo idolo non era più Francesco Totti ma quel portoghese che dallo Sporting era arrivato al Manchester United, Cristiano Ronaldo.

Le bugie nelle interviste

Nel gennaio del 2004 la storia dell’Academia Tolimense giunse al capitolo più emozionante. Le finali del torneo Pony Futbol, uno dei classici del calcio colombiano giovanile. Dopo la prima partita contro una squadra di Medellin, un agente si presentò dai dirigenti: “Mi interessano due dei vostri ragazzi”. Quando si sentì rispondere che non erano in vendita, andò a cercarne i genitori. Fu la prima proposta mai arrivata a James. Era l’Envigado Futbol Club, che poteva contare su Gustavo Upegui detto “l’occhio”, il più grande osservatore del paese. L’ingegnere disse solo che bisognava prima finire il torneo, e che poi ne avrebbero riparlato. L’offerta dell’Envigado venne estesa a otto degli undici ragazzi titolari. Nella partita seguente James fece tre gol, un altro lo segnò negli ottavi di finale.

Ai quarti di finale l’avversario era l’Envigado. Lo conoscevano. Lo marcarono duro. James mise l’assist della partita e molto altro. I giornali locali di Medellin scrissero: “E’ nato per fare il calciatore”.  Arrivarono le prime interviste. Con qualche bugia. “Ti piace studiare? Sì. La materia preferita? Il castigliano. Lo studio è più importante del calcio”. Superata la semifinale, l’ultima partita era fissata contro i ragazzi del Deportivo Cali. Quelli che si allenavano sui campi meravigliosi. James notò che la difesa soffriva i suoi tiri dal calcio d’angolo. Così smise di mettere la palla in mezzo e cominciò a cercare sempre la porta. Segnò due gol dalla bandierina. La stampa parlava di lui come di un piccolo gigante. E’ rimasta nella piccola storia del calcio giovanile colombiano la crisi di pianto del portiere del Cali, Johan Wallens: “E’ colpa mia”. Non è vero. Non era colpa sua. Johan Wallens oggi è tornato a giocare nel Deportivo Cali, nella serie A colombiana, dopo un’esperienza anche in Messico, al Pachuca.

La firma

L’accoglienza a Ibagué fu sensazionale. James si fece cadere la coppa dalle mani spaccando il naso al suo amico Pipe Gòmez. Il sentimento popolare attribuì il merito della vittoria non solo al ragazzino dei gol dal calcio d’angolo ma all’anima benedetta di Damiàn Borja, il più grande cannoniere di tutti i tempi nella storia dell’Academia, assassinato a 17 anni nel 2003 mentre cercava di opporsi ai ladri che stavano rubando 8 milioni di pesos a sua madre.

Upegui, l’occhio, tornò alla carica. Offrì 38 milioni di pesos per Pipe Gómez e il doppio per James. Qui entra in campo la capacità della famiglia Rodríguez di trattare. Pilar e l’ingegnere posero delle condizioni. Il cartellino di James sarebbe rimasto per il 30% in mano loro. Il club che avrebbe ingaggiato James, avrebbe dovuto dare un lavoro anche al suo padrigno. Upegui accettò. L’ingegnere Juan Carlos Restrepo sarebbe stato il direttore tecnico dell’Università. L’Atletico Nacional di Medellin che era in corsa e che offriva un posto di ingegnere elettronico a Postobón si defilò all’ultimo istante. Il suo dirigente, Fernando Jiménez Vásquez, si sentì rivolgere una frase a cui negli anni seguenti avrebbe pensato spesso: “Hai commesso un errore perché un giorno nel calcio colombiano ci sarà un prima James e un dopo James”. Adesso era un professionista.

(fine seconda parte – continua)

La prima parte

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