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Se tifiamo Napoli, siamo tutti ontologicamente sarristi

Sarristi ed antisarristi, sempre tifosi del Napoli siamo. Ed in attesa che prima o poi questo Palazzo crolli, concediamocela pure questa botta di malumore di fronte all’ennesima riedizione di core ‘ngrato di altafiniana memoria

Se tifiamo Napoli, siamo tutti ontologicamente sarristi
Maurizio Sarri

Venti anni di lavoro come magistrato civile mi hanno insegnato una verità evidente a tanti (ma purtroppo non a tutti): la peggiore delle conciliazioni è preferibile alla migliore delle sentenze: e questo non per motivi tecnici, ma per il semplice fatto che una sentenza – anche la migliore, appunto – lascia sempre una cicatrice, uno sbrego, del rancore più o meno sopito. Un fuoco sotto la cenere, pronto a riaccendersi alla prima occasione.
Ecco perché sono naturalmente portato a ricercare sempre i punti di contatto, i possibili margini per una mediazione positiva, piuttosto che ad enfatizzare distanze e differenze.
Dato che la mia militanza come tifoso del Napoli è molto più lunga della mia carriera in magistratura (a due anni il concorso non te lo fanno fare…), vorrei provare a trovarla, questa sintesi, anche in queste ore difficili: in cui ci stiamo dividendo, noi tifosi azzurri, tra antisarristi trionfanti (“avete visto che delusione d’uomo, il vostro Comandante?”) e sarristi in fuga dopo Caporetto, ma sempre a testa alta (“meglio sarristi che altro, almeno per tre anni ci ha fatto sognare”).

Siamo tutti ontologicamente sarristi

La mia tesi è: in quanto tifosi del Napoli, noi siamo tutti ontologicamente sarristi.
E quindi non abbiamo bisogno di Maurizio Sarri, che ben può continuare a seguire – con il minor successo possibile, ovvio – il proprio percorso professionale.
Non ha senso dividersi.
Avevamo bisogno di Sarri per scoprire che noi non facciamo parte delle “famiglie” vincenti del calcio italiano?
Avevamo bisogno di Sarri per capire che il bel gioco, alla lunga, paga e passa alla storia senza necessariamente alzare trofei? E l’Olanda degli anni ’70 allora? E il Napoli di Vinicio? Cosa hanno vinto? E nonostante questo quanto sono ancora ricordati con ammirazione?
Avevamo bisogno di Sarri per poter urlare a voce alta che dire “l’unica cosa che conta è vincere” è la negazione di ogni forma di poesia, di umanità, di civiltà sportiva?
Avevamo bisogno di Sarri per capire che il campionato italiano soffre di una serie di cortocircuiti (sportivi, ma anche politici ed economici) che lo ha reso patrimonio esclusivo di una sola squadra, di una sola società?
Io credo proprio di no. Credo che chi sceglie di tifare Napoli e non di campare di rendita tenendo per squadre strisciate sappia fin troppo bene di avere un Palazzo turrito e fortificato da conquistare: e questo, per carità, anche per meriti altrui e per demeriti propri.

Se Sarri va alla Juve sono problemi suoi

Dice: Sarri ha incarnato tutto questo, e ci ha anche marciato sopra per poi disertare.
Problemi suoi.
Conta quello che siamo noi.
E a chi ci dice che è sbagliato e forse persino autolesionistico aver bisogno sempre di un mito, di un eroe, di un condottiero, rispondo: mio caro, forse è vero. Ma noi siamo così.
Quando si viaggia – e si vive – in direzione ostinata e contraria, come diceva qualcuno che ci manca tanto, che male c’è a credere nelle favole, nelle leggende, negli eroi?
Tutti noi fino ad un certo punto della vita crediamo a Babbo Natale.
Poi scopriamo che non esiste – perché purtroppo non esiste – eppure la rimpiangiamo, quell’età: mica ci diamo del cretino per averci creduto
Perché dovere per forza razionalizzare qualcosa – il nostro rapporto con quella palla presa a calci da ventidue bipedi su di un rettangolo verde – che è tanto bello non razionalizzare?
Perché non lasciare che anche attraverso il calcio – e sottolineo l’”anche” – non scorrano rabbie, delusioni, sentimenti, passioni: prima tra tutte, quella voglia di prendere a sassate tutti i Palazzi del mondo, tutti quei luoghi inaccessibili dove poche persone si pesano e non si contano, alla faccia di tutti quelli che restano infreddoliti fuori a guardare, con il naso schiacciato sul vetro delle finestre?

La scelta di Sarri è il professionismo

Dice, pure: è da immaturi soffrire per la scelta di Sarri. È il professionismo, baby.
Vero, ma perché non concedercela solo per un po’ quella botta di immaturità che ci rende così diversi da tutti quelli che vedono nella propria squadra di calcio solo una squadra di calcio?
Perché devo per forza intostarmi e dire che se mia moglie mi ha tradito con il mio migliore amico non mi fa male, perché tanto sono moderno? (ricordate il grandissimo Carlo Buccirosso ne L’amico del cuore, quando Vincenzo Salemme credendosi in fin di vita gli chiede di acconsentire ad una sola notte di passione con sua moglie, la meravigliosa Eva Herzigova?).
Io faccio mie le parole di Carlo Verdone nel suo monologo finale sulla nostalgia ne La grande bellezza, cambiando solo lo stato d’animo: cosa avete contro l’immaturità? A piccole dosi non fa male, e migliora la vita.

A finale, sarristi ed antisarristi, sempre tifosi del Napoli siamo. Ed in attesa che prima o poi questo Palazzo crolli, concediamocela pure questa botta di malumore di fronte all’ennesima riedizione di core ‘ngrato di altafiniana memoria: pronti – magari al primo annuncio di un grande acquisto – a riprendere il nostro cammino, che è orgogliosamente sarrista per definizione, con o senza di lui.
Orgogliosi, poi, anche per un dato di fatto indubitabile: se hanno voluto Sarri, quelli lì ci hanno davvero invidiato in acido silenzio per tre anni, rodendosi dentro mentre ostentavano apparente superiorità.
Non è una soddisfazione da poco, per chi sta da sempre fuori alla finestra.

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